Il Farmacista ospedaliero e la gestione
del rischio chimico e biologico.
Competenze e responsabilità
Napoli, 26 settembre 2014

a cura di Francesca De Plato1, Cesario Oliva2
1Coordinatore area scientifico-culturale SIFO “Gestione rischio chimico e biologico
2Collaboratore Comitato Unico di Redazione Editoria SIFO



Il 26 settembre scorso è stata svolta, presso l’Ordine dei Farmacisti di Napoli, la terza edizione del corso nazionale “Il Farmacista ospedaliero e la gestione del rischio chimico e biologico. Competenze e responsabilità.” a cura dell’Area Scientifico-Culturale SIFO “Gestione rischio chimico e biologico”, il cui Coordinatore è la dott.ssa Francesca De Plato (Farmacista Dirigente presso il Presidio Ospedaliero “Mazzini” di Teramo).
L’evento ha visto la partecipazione di un panel di relatori di estrazione professionale composita, i quali hanno affrontato molteplici aspetti del rischio chimico e biologico. Il programma della giornata è stato presentato dai moderatori dott.ssa Maria Grazia Cattaneo (Responsabile Ufficio Gestione Qualità A.O. Papa Giovanni XXIII Bergamo; Coordinatore dell’Area Scientifico-Culturale SIFO “Implementazione Sistemi Qualità” e Vicepresidente SIFO) e dott.ssa Simona Creazzola (Farmacista Dirigente – ASL Napoli 1 e Referente per la comunicazione Interna ed Esterna SIFO).
La dott.ssa Ivanna Lisena (Farmacista Dirigente presso l’Ospedale San Paolo ASL Bari – membro del comitato di area), primo relatore, ha presentato la nuova area scientifico-culturale SIFO “Gestione rischio chimico e biologico”, mettendo in luce la complessità e vastità della materia, all’interno della quale il farmacista ospedaliero deve potersi orientare, al fine di offrire il proprio contributo al team aziendale che si occupa della prevenzione dei rischi derivanti dalla esposizione a sostanze o miscele di natura chimica o materiale biologico.
Sono stati sinteticamente descritti, in particolare, i contenuti dei decreti legislativi di recepimento delle Direttive europee emanate in materia e sono stati introdotti i concetti di “pericolosità”, quale proprietà intrinseca di un agente, e di “rischio”, quale probabilità di giungere a quel potenziale di pericolosità nelle condizioni d’uso. Sono state illustrate le etichette di “nuova generazione” contenenti i pittogrammi GHS - Globally Harmonized System of classification and labelling of chemicals, sistema mondiale di classificazione delle sostanze ritenute pericolose. L’Unione Europea ha adottato, dal dicembre del 2008, il Regolamento 1278/08 (CLP) riguardante classificazione, etichettatura ed imballaggio delle sostanze e delle miscele, che recepisce le indicazioni del GHS. Il Regolamento andrà a sostituire, da giugno 2015, fatte salve alcune specifiche proroghe, le precedenti Direttive 67/548 CEE e 99/45 CEE. Risultano esenti dal Regolamento, in quanto regolati da specifiche Direttive, farmaci ad uso umano (2001/83/CE), farmaci veterinari (2001/82/CE), prodotti cosmetici (76/768/CEE) e dispositivi medici (90/385/CEE, 93/42/CEE, 98/79/CE).
Il Regolamento CE 1907/2006 (REACH - Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemical Substances), in vigore dal 01/06/2007, istituisce l’Agenzia europea delle sostanze chimiche, che si occupa degli aspetti tecnici, scientifici ed amministrativi del sistema REACH e garantisce la coerenza delle decisioni a livello comunitario. L’Agenzia, con sede ad Helsinki, gestisce la procedura di registrazione e svolge un ruolo fondamentale nel processo di valutazione. Essa riceve, inoltre, le domande di autorizzazione e formula pareri e raccomandazioni nell’ambito delle procedure di autorizzazione e di restrizione. Gli elementi chiave del Regolamento sono:
– registrazione di tutte le sostanze chimiche prodotte o importate nell‘Unione Europea in quantitativi pari o superiori ad una tonnellata/anno, che portano in dotazione un fascicolo tecnico senza il quale non possono ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio;
– valutazione del dossier, effettuata dall‘Agenzia stessa, e delle sostanze, effettuata invece da ciascuno Stato membro (valutazioni non sistematiche ma basate su ordine di priorità);
– autorizzazione agli usi specifici per le SVHC (Substance of Very High Concern - sostanze estremamente preoccupanti) ovvero sostanze con effetti cancerogeni, mutageni, e tossici per la riproduzione (CMR), sostanze persistenti bio-accumulabili e tossiche (PBT), e molto persistenti e molto bio-accumulabili (vPvB), interferenti endocrini o di equivalente preoccupazione.

In accordo con la normativa in via di abrogazione, si parla di classi di rischio, suddivise in due categorie: rischio per la sicurezza e rischio per la salute. A queste classi di rischio sono subentrate:
– la classe di pericolo, che fornisce indicazioni sulla natura del pericolo fisico, per la salute o per l’ambiente (CLP);
– la categoria di pericolo, che specifica la gravità del pericolo.

In totale le classi e le categorie di pericolo del Regolamento sono 28 (16 classi di pericolo fisico – effetti acuti aspecifici, 10 classi di pericolo per la salute umana – effetti acuti o cronici attraverso meccanismi specifici, 1 classe di pericolo per l’ambiente ed 1 classe supplementare – sostanze pericolose per lo strato di ozono). Anche le cosiddette frasi di rischio (frasi R = frasi convenzionali, codificate dall’Unione Europea che descrivono i rischi connessi alla manipolazione di sostanze chimiche) e frasi di sicurezza (frasi S = frasi convenzionali, codificate dall’Unione Europea, che descrivono i consigli cui attenersi, in caso di manipolazione di sostanze chimiche, a scopo preventivo o a seguito di incidenti) sono state soppiantate rispettivamente dalle indicazioni di pericolo, evidenziate con la lettera H accompagnata da 4 cifre, e consigli di prudenza, evidenziati con la lettera P, accompagnata anch’essa da 4 cifre.
Tutto ciò premesso, come bisogna comportarsi davanti ad un prodotto/miscela potenzialmente pericoloso? I veicoli di informazione sono tre:
– l’etichetta del prodotto: deve riportare nome, indirizzo e numero di telefono del fornitore della sostanza o miscela, la quantità nominale della sostanza o miscela contenuta, gli identificatori del prodotto, il numero di autorizzazione - quando previsto un uso autorizzato (REACH), e, dove applicabile, i pittogrammi di pericolo, le avvertenze, le indicazioni di pericolo, i consigli di prudenza e le informazioni supplementari, facilmente comprensibili;
– la scheda di sicurezza (SDS): rappresenta una vera e propria guida alla manipolazione sicura da parte di chi utilizza professionalmente un prodotto pericoloso, risulta molto più dettagliata dell’etichetta ed è composta da 16 capitoli. Deve obbligatoriamente accompagnare il prodotto;
– gli scenari di esposizione: allegati alla scheda di sicurezza in casi specifici.

In ambito ospedaliero, le maggiori fonti di rischio sono rappresentate da detergenti, disinfettanti, sterilizzanti, antiblastici, anestetici per inalazione, conservanti/fissativi, solventi, acidi, gas compressi, gas criogenici, ulteriori categorie di farmaci (NIOSH), lattice e polvere di toner. Il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) ha stilato un elenco di farmaci pericolosi (hazardous drugs) che possono rappresentare un rischio quando manipolati. Ovviamente le formulazioni volatili risultano essere più pericolose rispetto alle compresse, che per mostrare la loro pericolosità devono essere, ad esempio, triturate.
Il Testo Unico in materia di sicurezza impone l’adozione di misure di tutela, preventive e protettive. Le prime consistono nel principio di sostituibilità, ossia l’opportunità di sostituire, ove possibile, il prodotto con uno meno pericoloso che garantisca pari efficacia, il principio ALARA, ossia l’obbligo di impiegare il prodotto pericoloso, se proprio non se ne può fare a meno, nelle quantità minime sufficienti, ed infine, l’applicazione di modelli organizzativi ispirati al contenimento dell’esposizione. Le misure di protezione consistono nell’utilizzo di Dispositivi di Protezione Collettiva (cappe o sistemi di areazione) e Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). Questi ultimi, da impiegare laddove il rischio non possa essere azzerato con le prioritarie misure di tutela, devono essere adeguati al rischio al quale si è esposti. La loro scelta rappresenta, quindi, una fase estremamente importante, alla quale il Farmacista ospedaliero è spesso chiamato a dare il proprio contributo.
Il secondo intervento è stato quello del Prof. Roberto Lombardi – Tecnologie di Sicurezza Dipartimento Igiene del Lavoro ex-ISPESL-INAIL, Roma – il quale ha tenuto a precisare che i concetti base della sicurezza sono: “non minimizzare la pericolosità delle sostanze” non inserite nei capi dei titoli del DLgs 81/2008 e nell’estendere le misure di sicurezza a tutti i soggetti che frequentano a qualsiasi titolo il luogo in cui vengono adoperate. Ha continuato poi specificando le Direttive europee recepite nella normativa vigente in materia di igiene del lavoro nella caratterizzazione del rischio chimico e biologico (D.Lgs 81/2008). In particolar modo richiamando il Titolo IX, che riguarda gli agenti chimici, a sua volta suddiviso in due capitoli (agenti chimici pericolosi ed agenti chimici mutageni e cancerogeni) e il Titolo X, che riguarda gli agenti biologici.
Il primo capitolo del Titolo IX riporta i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che derivano, o possono derivare, dagli effetti di agenti chimici presenti sul luogo di lavoro o come risultato di ogni attività lavorativa che comporti la presenza di agenti chimici. Il Prof. Lombardi ha tenuto a precisare che c’è una obbligatorietà, come accennato dalla dottoressa Lisena, nel sostituire un prodotto potenzialmente pericoloso, piuttosto, come invece è consuetudine nella pratica, usare lo stesso prodotto adottando il principio ALARA. Questo discorso era rivolto soprattutto a coloro che fino a poco tempo fa erano esposti a sostanze che non risultavano tra gli agenti tossici e di cui oggi la Comunità Europea ha dichiarato limiti di esposizione molto ristretti! È dunque un problema annoso che, in ambito ospedaliero, si aggiunge a quello della preparazione degli antiblastici nelle Unità Farmaci Antiblastici (UFA), anch’esso presente nel Titolo IX. Il problema risulta essere non tanto la preparazione e la somministrazione di farmaci chemioterapici in ambienti come le camere bianche, ma la non esecuzione di tutte le misure di tutela possibili. Quindi, ribadisce il Prof. Lombardi, bisogna informare i datori di lavoro, ovvero nel caso specifico l’Azienda Sanitaria stessa, di prendere le giuste misure prima di far maneggiare qualsiasi sostanza ad un operatore, per non trovarsi poi a risolvere problemi legati alla giurisdizione in campo civilistico.
Proprio parlando di UFA e di antiblastici, la dottoressa Emanuela Omodeo Salè (Direttore Farmacia Istituto Europeo Oncologico (IEO) di Milano, Coordinatore dell’Area Scientifico-Culturale Oncologia SIFO) ha illustrato il rischio derivante dall’allestimento e dalla somministrazione dei chemioterapici antiblastici. Un rischio presente e sempre attuale.
Sono state illustrate alcune analisi tossicologiche condotte tra gli operatori che preparavano e somministravano le terapie antiblastiche. Ha messo in rilievo come i farmacisti, che preparavano questi farmaci, non risultassero positivi ai metaboliti attivi (es del 5-FU) a differenza del personale infermieristico addetto alla somministrazione degli stessi farmaci. Questo è da ricondursi al fatto che i farmacisti durante la preparazione erano attenti a tutte le misure di sicurezza, mentre gli operatori e tecnici addetti alle somministrazioni risultavano positivi perché reticenti ad usare i DPI, forniti sempre dalla farmacia, per una questione di estetica e praticità vicino al letto del paziente. Fortunatamente, con la più recente disponibilità di circuiti chiusi anche nei locali addetti alla somministrazione c’è stato un netto miglioramento della situazione. Contestualmente all’impiego di dispositivi a circuito chiuso, si è sempre più ampliata, sul territorio italiano, la centralizzazione di allestimento e somministrazione di farmaci antiblastici. Sono stati descritti tutti i tipi di DPC e DPI in uso presso l’IEO e illustrate le due camere “bianche” speculari dotate di cappe a flusso laminare per l’allestimento manuale da parte degli operatori ed una camera in cui è presente un sistema robotizzato per la preparazione di antiblastici. Si tratta di un sistema robotizzato composto sostanzialmente da due camere a pressione zero ed un braccio antropomorfo ad alta sensibilità. L’operatore inserisce tutto l’occorrente (farmaci e dispositivi) in una delle due camere ed il braccio di volta in volta preleva ciò che gli serve per la preparazione. Terminata l’operazione di allestimento di una data sacca, la macchina rilascia due etichette con codice a barre (una da apporre sulla sacca e l’altra da apporre sulla richiesta del reparto) per non incorrere in errori di scambio. Al di sotto delle due camere vi sono dei raccoglitori per i rifiuti e le eventuali sacche pronte non accettate perché non ritenute idonee non avendo raggiunto un’accuratezza di almeno il 97% a seguito del test che la stessa macchina fa. Questo sistema garantisce la sicurezza dell’operatore che non prepara manualmente le sacche e quindi non manipola direttamente antiblastici, e dell’utilizzatore, cioè del paziente, poiché il sistema garantisce l’accuratezza del prodotto finito e la riduzione del rischio di scambi di terapia. Ovviamente il sistema robotizzato porta con sé anche “l’altra faccia della medaglia”: tempi di preparazioni più lunghi, gestione delle problematiche della macchina (manutenzione), necessità di spazi adeguati alle dimensioni, ridefinizione dei processi organizzativi e logistici. Inoltre, il farmacista è chiamato, di concerto con il Servizio aziendale di Sicurezza e Protezione negli ambienti di lavoro, a formare ed informare sulle possibili cause di rischio gli operatori dedicati alla somministrazione in occasioni come lo stravaso, lo smaltimento, etc.
La dottoressa Omodeo Salé ha quindi concluso il suo intervento manifestando la disponibilità a collaborare, nell’ambito delle attività della SIFO, per aggiornare le linee-guida per la prevenzione dei rischi legati agli antiblastici.
La seconda disamina del Prof. Lombardi ha riguardato l’appropriatezza delle scelte di procedure efficaci di disinfezione, sottolineandone però la possibilità che espongano ad un rischio per la sicurezza, per la salute e per l’ambiente. Ha ricordato che la congruità di un agente disinfettante è regolamentata anche dalla norma inerente i Dispositivi Medici (D.lgs 49/1997 - attuazione Direttiva 93/42/CE e Direttiva 2007/47/CE e s.m.i.).
Nella scelta degli agenti disinfettanti, evidenzia il professore, bisogna valutare attentamente la documentazione tecnico-scientifica ed impiegare solamente quelli conformi alle norme tecniche di settore: valutazione dell’attività battericida di base di formulazioni ad azione disinfettante (EN 1040, 1999); test quantitativo in sospensione per la valutazione dell’attività battericida per strumenti (EN13727, 2003); analisi dell’attività virucida di formulazioni ad azione disinfettante, attività nei confronti di poliovirus e adenovirus (EN 14476, 2005); valutazione dell’attività sporicida di base (EN14347,2005); attività fungicida test quantitativo in sospensione (EN13624,2003); test quantitativo in sospensione per la valutazione dell’attività micobattericida di disinfettanti chimici per l’uso nell’area medica inclusi disinfettanti per strumenti (EN14348,2005); valutazione dell’attività battericida e fungicida di formulazioni ad azione disinfettante, test di superficie (EN13697,2001).
Purtroppo, alcune aziende propongono prodotti disinfettanti che presentano concentrazioni non conformi o, addirittura, richiedono tempi di esposizione troppo lunghi rispetto alle esigenze o, ancora, perché i test previsti dalle norme tecniche non sono condotti da laboratori terzi di riferimento ma “in casa propria”. Il farmacista deve quindi fare attenzione alle specifiche tecniche per poter scegliere, durante le procedure di appalto, i prodotti migliori per la decontaminazione-disinfezione, essendo quest’ultima una misura di tutela che, se mal esercitata, può portare un danno al soggetto che frequenta quegli ambienti.
La seconda sessione, moderata dal Dott. Santolo Cozzolino (Direzione Operativa per  la Biofarmacologia Ricerca Sperimentale e Documentazione Clinica AORN “A. Cardarelli” – Napoli e Referente Nazionale ECM SIFO) e dal Dott. Adriano Vercellone (Farmacista Dirigente, Dipartimento farmaceutico - ASL NA3 SUD e Segretario Regionale SIFO Campania), è iniziata con l’intervento della Prof.ssa Maria Triassi (Direttore del Dipartimento Assistenziale di Igiene Ospedaliera, Medicina del Lavoro e di Comunità - Policlinico Federico II, Napoli e Direttore della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva - Università degli studi di Napoli, Federico II) che ha fornito ai discenti chiarimenti in merito alla tutela dell’operatore e del paziente, focalizzandosi su aspetti preventivi e medico legali. L’ambiente sanitario in generale risulta essere di per sé un centro di gravità di rischi chimici e biologici. Quindi, tutti coloro che frequentano questi luoghi sono esposti a pericoli. C’è effettivamente una differenza, ha proseguito la Prof.ssa Triassi, tra pericolo e rischio. Il pericolo è una probabilità teorica di incorrere in un danno, mentre il rischio è una probabilità reale che si possa incorrere in un danno perché ci si trova in una situazione di esposizione critica. Quindi, quali sono le variabili che possono trasformare un pericolo in un rischio?
Le variabili che possono trasformare il pericolo in rischio, sono di tipo qualitativo, ossia l’esistenza o meno di un agente chimico o biologico che può sfociare nel danno, e di tipo quantitativo, suddivise in tre punti fondamentali: l’intensità dell’esposizione, la durata dell’esposizione e la sicurezza con cui avviene l’esposizione all’agente chimico e/o biologico.
Queste variabili servono, in effetti, alla valutazione del rischio (normate anche nel Titolo IX del D.Lgs 81/2008), che si articola in 4 fasi:
– la ricognizione del pericolo: serve a dichiarare l’esistenza di un pericolo o meno;
– la reale situazione all’esposizione: possibilità o meno della presenza di un agente chimico e/o biologico pericoloso;
– la misurazione del livello di esposizione;
– la stima e la valutazione del grado di esposizione all’agente chimico e/o biologico: diretto o indiretto.

La stima del rischio diretto, attraverso diversi tipi di analisi (gas-massa, infrarossi, etc.), risulta essere l’istantanea degli inquinanti dell’aria e delle superfici di un determinato ambiente che si va ad analizzare, portando con sé pochi vantaggi e diversi svantaggi come, per esempio, i costi alti e difficoltà tecniche. La stima del rischio indiretto, invece, va ad utilizzare degli algoritmi che calcolano, in maniera integrale, gli indicatori di rischio, risultando un metodo più semplice, più economico, ripetibile, aggiornabile e di tempi stretti d’analisi. Altro fattore di importanza rilevante è il rischio residuo, ossia il rischio che permane in termini di probabilità del danno, in presenza di livelli di contenimento insufficienti per quantità e qualità. Quindi, data una classe di esposizione, catalogata da 1 a 4, arriviamo al rischio residuo sottraendo la protezionistica. In particolare, la Prof.ssa Triassi, esprimendo con 100 l’intensità massima del rischio in assenza di misure di contenimento, ha stimato come 17 la quota dovuta alla protezionistica individuale (DPI) e con 33 quella dovuta alla protezionistica organizzativa (linee-guida, organizzazione del lavoro, segnaletica, formazione e informazione). Ha ricavato, dalla sua esperienza, che il 50% del rischio per gli operatori è dipendente dal corretto funzionamento dei dispositivi di protezione di tipo collettivi (DPC). Ma quello che ha tenuto a specificare la relatrice è che il D.lgs 81/2008 rende il lavoratore soggetto attivo e responsabile in materia di sicurezza. Con questo ha voluto sottolineare che se il datore di lavoro, o chi per lui, fornisce tutte le idonee misure individuali di protezione risultanti obbligatorie dopo la valutazione del rischio, ed il soggetto lavoratore non li usa, lo stesso diventa unico responsabile dell’occorrenza del danno.
La responsabilità del farmacista ospedaliero è stata oggetto dell’ultimo intervento della giornata, condotto dal Dott. Camillo Falvo (Sostituto Procuratore della Repubblica – Catanzaro). Il magistrato ha ricordato come alla mancanza di sicurezza sul lavoro possa conseguire responsabilità, sia in ambito civilistico che in ambito penalistico.