Relazione tra gravità della COVID-19, fattori di rischio
ed espressione di ACE-2 nella popolazione geriatrica

Marco Bellizzi

Dirigente Farmacista ASST Valtellina ed Alto Lario Ospedale di Sondrio

Dal rapporto italiano sulle caratteristiche dei pazienti deceduti risultati positivi al SARS-CoV 2, aggiornato al mese di novembre 2020, emerge che l’età media dei pazienti è di circa 80 anni (campione: 39.052 pazienti deceduti, mediana 82, range 0-109, Range Interquartile – IQR 74-88), con una età mediana maggiore di oltre 30 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (età mediane: pazienti deceduti 82 anni – pazienti con infezione 49 anni). Il numero medio di patologie osservato in tale popolazione è pari a 3,5 (campione pazienti = 5047; mediana = 3; deviazione standard = 2), con una leggera differenza se si stratifica per sesso: 3,7 nelle donne (mediana = 3, deviazione standard = 2,0) e 3,4 negli uomini (mediana = 3; deviazione standard = 2,0). In più del 90% delle diagnosi compaiono condizioni quali polmonite ed insufficienza respiratoria, compatibili con la COVID-19. Febbre, dispnea e tosse rappresentano i sintomi più comunemente evidenziati, mentre le terapie più frequentemente prescritte sono: antibiotici (86,2 % dei casi); antivirali (54,9%); terapie corticosteroidee (46,0%).1 Lo studio della correlazione tra senescenza e gravità della COVID-19 è fondamentale per poter migliorare la gestione clinica dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2, per la pianificazione ed attuazione di politiche sanitarie mirate e per l’utilizzo di specialità medicinali già in commercio o per lo sviluppo di farmaci in corso di sperimentazione da impiegare in questo specifico ambito.

Una ‘research letter’ redatta dalla Sociedade Brasileira de Cardiologia (SBC) focalizza l’attenzione su fattori di rischio quali immunosenescenza, multi-morbilità e fragilità, unitamente all’espressione del recettore Angiotensin Converting Enzyme 2 (ACE-2), correlandoli alla gravità della patologia in esame (COVID-19).

ACE2 Expression and Risk Factors for COVID-19 severity in patients with advanced age

Caio de Assis Moura Tavares, Thiago Junqueira Avelino-Silva, Gil Benard, Francisco Akira Malta Cardozo, Juliana Ruiz Fernandes, Adriana Castello Costa Girardi, Wilson Jacob Filho

Arq. Bras. Cardiol. vol.115 no.4 São Paulo Oct. 2020 Epub Oct 23, 2020

ACE-2, INFEZIONE DA SARS-COV-2 E INVECCHIAMENTO

Le modifiche funzionali delle pathways fisiologiche legate all’invecchiamento potrebbero in parte spiegare il più alto tasso di mortalità e morbilità da COVID-19 negli individui in età avanzata. Tra queste, è necessario menzionare quella a carico del Sistema Renina-Angiotensina (RAS), il quale svolge un ruolo cruciale sia nella trasmissibilità virale, sia nella patogenesi del danno polmonare in forma lieve o severa (Acute Respiratory Distress Syndrome, ARDS). L’enzima ACE-2, in grado di legare la proteina strutturale ‘Spike’ di SARS-COV-2, svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo della patologia permettendo l’accesso del virus nella cellula ospite. Ciò presupporrebbe che ad una maggiore espressione di tale enzima si associ una maggiore infettività. Tuttavia, nonostante in tarda età si evidenzi una considerevole riduzione dell’espressione di ACE-2 nei polmoni, nei pazienti anziani si registra sia una maggiore gravità del danno tissutale sia una maggiore letalità rispetto agli individui di più giovane età.

Una spiegazione verosimile a questa mancanza di linearità tra età differenti, livelli tissutali di ACE-2 e gravità della patologia potrebbe esser legata alla mera probabilità di contrarre l’infezione. In effetti, essa risulta molto più alta negli individui di giovane età, e questo è facilmente spiegabile grazie alla maggiore espressione di ACE-2. Nei soggetti anziani, invece, giocherebbero un ruolo fondamentale i mediatori dell’infiammazione, quali l’angiotensina II (Ang II), che esacerberebbero gli effetti dannosi del virus.

Ciò sarebbe supportato dall’evidenza che, con l’avanzare dell’età, oltre alla riduzione dell’espressione di ACE-2, ci sarebbe una maggiore attivazione del signaling delle pathways pro-infiammatorie che porterebbe all’iper-attivazione della pathways ACE/Ang II. A tal proposito, in letteratura esistono conferme sia sul ruolo protettivo di ACE-2 verso l’insufficienza polmonare, sia sul nesso di causalità esistente tra disregolazione della pathways ACE/Ang II e comparsa di ARDS, seppur derivanti da studi su modelli animali.

La complessa relazione tra età, espressione di ACE-2 e infezione da SARS-CoV-2 è schematizzata in Figura 1.




In età senile, la ridotta espressione di ACE-2 nella membrana delle cellule epiteliali polmonari (pneumociti di tipo II) porta ad un aumento di livelli di angiotensina II (Ang II) a scapito di Angiotensina 1-7 (Ang-1-7). Questo innesca una iper-attivazione delle vie pro-infiammatorie predisponendo i pazienti anziani ad un aumento del danno polmonare e ad una maggiore mortalità da COVID-19. Tale ipotesi è corroborata dal fatto che il legame di SARS-CoV-2 ad ACE-2 porta all’internalizzazione di entrambi, riducendo ulteriormente l’espressione di tale enzima. Nei pazienti giovani, invece, vi è una maggiore espressione di ACE-2 a livello delle membrane che consente un equilibrio tra l’attività di Ang II e Ang-1-7. La maggiore espressione di ACE-2 può causare, al contempo, un aumento dell’infettività di SARS-CoV-2, ma anche una maggior produzione di Ang-1-7 che innesca effetti antinfiammatori che si contrappongono a quelli di Ang II, proteggendo i soggetti più giovani dallo sviluppo/progressione del danno polmonare acuto. Questo modello è ipotetico e non è stato convalidato sperimentalmente.

IMMUNOSENESCENZA, INFLAMM-AGING E COVID-19

Un’ulteriore spiegazione sul perché i casi più gravi di infezione da SARS-CoV-2 si registrino con maggior frequenza in soggetti immunosenescenti o affetti da patologie croniche è legata alla fisiopatologia della COVID-19. I soggetti sani, dotati di un sistema immunitario efficiente, riescono a limitare la progressione di una infezione in poche settimane. In tali condizioni la risposta immunitaria controllata si attua, con molta probabilità, nella fase iniziale del processo infettivo, attraverso la riduzione delle fasi di replicazione e disseminazione virale. Queste due fasi sono, in effetti, determinanti nello sviluppo della forma grave della COVID-19 nei soggetti anziani, i quali, presentando un sistema immunitario indebolito, sono esposti a cariche virali persistenti maggiori. Tale ipotesi è stata confermata anche da un recente studio che ha analizzato la correlazione della carica virale di SARS-CoV-2 nell’orofaringe con l’età dei soggetti analizzati. Una carica virale sostenuta, in un soggetto anziano, esporrebbe l’organismo a stimoli antigenici intensi e persistenti non controbilanciati da una risposta immunitaria efficiente. (Figura 2)




Le variazioni dell’efficienza del sistema immunitario e dello stato infiammatorio di un individuo possono contribuire alla gravità dell’infezione sia impattando sulla replicazione virale sia aumentando la produzione di citochine pro-infiammatorie.

In età senile le cellule dendritiche (DC) presentano minore attività fagocitica e minore efficacia nel sostenere la risposta immunitaria preservando, tuttavia, la capacità di secernere citochine pro-infiammatorie che alimentano lo stato di flogosi cronica. Inoltre, anche l’efficienza di monociti e macrofagi, i quali contribuiscono all’immunità innata producendo citochine pro-infiammatorie, e processando e presentando gli antigeni ai linfociti T, può diminuire con l’avanzare dell’età. Effettivamente, con l’avanzare dell’età diminuisce la produzione di anticorpi riducendo la risposta verso la vaccinazione di determinati individui. Esistono molteplici fattori che predispongono tali individui ad una più alta suscettibilità verso le infezioni:

disregolazione tra i vari sottotipi di linfociti B: maggior proporzione di cellule B di memoria, produttrici di consistenti quantità di citochine infiammatorie, che alimentano considerevolmente lo stato di infiammazione sistemica sub-clinica chiamato ‘inflamm-aging’;

produzione di Linfociti di tipo B naive responsabili del rilascio di IL-10 e TNF-α, anche in risposta a blandi stimoli, a differenza dei soggetti più giovani per i quali sono necessari stimoli più potenti;

minore capacità di espansione clonale dei Plasmociti con conseguente riduzione della produzione di anticorpi nella popolazione anziana.

Anche uno studio italiano molto recente corrobora l’ipotesi che il processo di invecchiamento incide in maniera determinante sulla gravità e sulla letalità dell’infezione da SARS-CoV-2. Il graduale sviluppo di uno stato infiammatorio sistemico sub-clinico può caratterizzare la sintomatologia dell’infezione stessa. Esso è contraddistinto da 4 aspetti: 1) presenza di infiammazione sistemica sub-clinica 2) indebolimento del sistema immunitario acquisito e ridotta risposta all’interferone di tipo I; 3) sottoregolazione di ACE-2; 4) invecchiamento biologico accelerato.3

Lo studio dei meccanismi che regolano il processo di inflamm-aging aiuterà a comprendere in maniera più chiara le patologie legate all’invecchiamento e la relativa risposta all’infezione da coronavirus.

MULTIMORBILITÀ

Anche la condizione di multimorbilità influisce in modo complesso con la gestione clinica della COVID-19. Se nel follow-up di routine dei pazienti ospedalizzati va tenuto conto della multimorbilità legata alle patologie, ai trattamenti specifici ed alle interazioni farmacologiche, nel follow-up della COVID-19 vi è da considerare un’ulteriore variabile determinante: la stesura di un piano di trattamento che tenga conto di tutte le variabili citate. Immaginiamo, ad esempio, un paziente di 72 anni circa, affetto da ipertensione, insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), dislipidemia, depressione e deterioramento cognitivo in trattamento con statine, sartani, betabloccanti, beta-2-agonista a lunga durata d’azione/corticoide ed un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI), ricoverato in terapia intensiva e sottoposto a ventilazione meccanica. Verosimilmente, durante la degenza, in risposta alla prescrizione di Clorochina ed Azitromicina, il paziente palesa stato confusionale ed insufficienza renale acuta oltre ad aritmia ventricolare. In Figura 3 sono illustrate le possibili interazioni legate a questo scenario: linea blu, multimorbilità (interazioni patologie-specifiche); linea nera, effetti avversi scaturiti dal trattamento specifico per una patologia che impattano su una patologia concomitante; linea rossa, potenziali interazioni farmacologiche tra terapie prescritte in degenza e terapie in corso prima del ricovero.




La somma di tutte le specifiche interazioni che rientrano nel computo rappresenta un’ulteriore variabile da considerare. Questo complesso scenario sottolinea l’importanza di personalizzare il più possibile l’assistenza in questo tipo di patologie.

Ad oggi, le informazioni disponibili in letteratura suggeriscono una correlazione tra multimorbilità e gravità della COVID-19 anche se non è stato del tutto chiarito se trattamenti farmacologici specifici per patologie croniche quali l’HIV o la fibrillazione atriale non ventricolare (es. antivirali, NAO) possano apportare benefici nella cura dell’infezione da SARS-CoV-2. Ciò impone cautela nell’eventuale sospensione di un farmaco prescritto per il trattamento di una patologia cronica di un paziente in cura per la COVID-19. È dunque necessario analizzare tutti i rischi oltre che i benefici legati ai trattamenti da sospendere o prescrivere ex novo. Infatti, la precoce sospensione di un trattamento cronico potrebbe far scaturire lo spiacevole effetto a cascata per cui la patologia numero 1 (COVID-19) venga trattata con esito mentre una o più patologie concomitanti (n. 2, 3, 4) non vengano adeguatamente controllate dando luogo ad esacerbazioni o recidive.

FRAGILITÀ

Nella popolazione geriatrica il rischio di sviluppare fragilità è maggiore negli individui che seguono uno stile di vita sedentario (inattività) ed in quelli che seguono un regime dietetico inadeguato. La fragilità nel paziente anziano si associa ad uno stato pro-infiammatorio cronico, caratterizzato da un aumento della concentrazione di mediatori flogistici quali interleuchina-6 (IL-6) e fattore di necrosi tumorale α (TNF-α) i cui livelli possono indicare uno stato patologico o sub-patologico. Questa condizione ha avvalorato la tesi che ad elevati livelli circolanti di IL-6 si associ un incremento della mortalità nei soggetti affetti da COVID-19. Per tale ragione, si ritiene che la fragilità e la multimorbilità possano rappresentare dei fattori prognostici più attendibili rispetto alla mera età dei pazienti coinvolti. Nonostante la popolazione geriatrica presenti una eterogeneità di gran lunga superiore rispetto ad altri gruppi di età tale da non permetterne di stabilire una correlazione lineare tra età e potenziale beneficio legato ad un determinato trattamento, tanto più se le terapie vengono prescritte e somministrate in ambito ospedaliero, si ritiene che la misura della fragilità possa rappresentare un parametro utile a prevedere l’eventuale sviluppo di effetti avversi legati alla COVID-19. La classificazione della fragilità di pazienti anziani appartenenti ad una medesima fascia d’età identificherebbe quindi diversi livelli di rischio di sviluppare effetti avversi fornendo, al contempo, un valido strumento per la valutazione prognostica delle persone affette da COVID-19. La misura della fragilità può essere effettuata tramite l’adozione della scala FRAIL e con l’indice di fragilità.

PROSPETTIVE

La popolazione geriatrica è quella maggiormente colpita dalla pandemia in corso, sia in termini di gravità dell’infezione, sia in termini di mortalità. I temi affrontati in questo articolo coinvolgono differenti aspetti quali l’espressione dell’enzima ACE-2, l’immunosenescenza, l’inflamm-aging la multimorbilità e la fragilità. La limitata disponibilità di risorse economiche in ambito sanitario rende necessario razionalizzare i costi sostenuti per l’assistenza. La rapida propagazione dei contagi da SARS-CoV-2 impone un’ottica di ottimizzazione delle prestazioni al fine di evitare la saturazione del sistema che non permetterebbe di garantire equità nella cura degli individui affetti da COVID-19. A fronte di quanto affermato, il ‘decision making’ non dovrebbe tener conto della sola età dei pazienti da trattare, ma anche di altri parametri fondamentali quali la fragilità e la multimorbilità come, del resto, avviene in altri ambiti clinici (es. cardiologico).

BIBLIOGRAFIA

1. Gruppo della Sorveglianza COVID-19. Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia.

2. Caio de Assis Moura Tavares, Thiago Junqueira Avelino-Silva, Gil Benard, Francisco Akira Malta Cardozo, Juliana Ruiz Fernandes, Adriana Castello Costa Girardi, Wilson Jacob Filho. ACE2 Expression and Risk Factors for COVID-19 Severity in Patients with Advanced Age. Arq Bras Cardiol 2020;115(4):701-7. DOI: https://doi.org/10.36660/abc.20200487

3. Massimiliano Bonafèa, Francesco Prattichizzob, Angelica Giulianic, Gianluca Storcia, Jacopo Sabbatinellic, Fabiola Olivieric. Inflamm-aging: Why older men are the most susceptible to SARS-CoV-2 complicated outcomes.