Presente e futuro tra innovazione e prossimità di cura: gli unmet needs delle malattie rare

Carmen Beatrice Traversi

Scuola di specializzazione in Farmacia Ospedaliera, Università di Genova

Socio SIFO Regione Liguria

Sabato 7 ottobre 2023, in occasione del XLIV Congresso Nazionale SIFO, si è tenuta presso il Salone dei Cavalieri la Main Session dal titolo: “Presente e futuro tra innovazione e prossimità di cura: gli unmet needs delle malattie rare”. La sessione è stata aperta dal dott. Ugo Trama, Responsabile Politiche del Farmaco della Regione Campania. L’incontro è stato dedicato interamente alle malattie rare, tema molto attuale e di grande interesse, per il quale i farmacisti giocano un ruolo fondamentale, soprattutto nel percorso assistenziale, che a oggi risulta essere ancora molto complesso. Infatti, al di là di quanto si possa investire nelle nuove terapie farmacologiche e dispositivi medici, risulta ancora molto tortuoso per i pazienti e caregiver l’iter per poter ricevere una diagnosi e una relativa cura in maniera corretta, efficace e tempestiva.

Nel primo intervento, il prof. Giuseppe Limongelli, componente del Tavolo Tecnico Nazionale Malattie Rare e Referente del Centro Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania, ha introdotto il nuovo Piano Nazionale Malattie Rare 2023-2026. Il testo è stato approvato a maggio 2023 dalla Conferenza Stato-Regioni con un finanziamento di 50 milioni di euro. Questo rappresenta il principale strumento di programmazione sanitaria a livello nazionale e definisce gli obiettivi di programmazione nell’ambito delle malattie rare. Il testo si sviluppa in capitoli verticali e orizzontali.

Tra i capitoli verticali, che sono quelli più specifici ritroviamo:

Prevenzione primaria. Il piano si propone di assicurare le consulenze genetiche, di ridurre o eliminare i fattori di rischio noti e promuovere i fattori protettivi, promuovere le campagne informative e garantire un sistema di sorveglianza andando a potenziare i Registri Nazionali e Regionali delle Malattie Rare e delle malformazioni congenite.

Diagnosi. Il piano ha tra i suoi obiettivi principali quello di andare a ridurre i tempi di diagnosi: attualmente il ritardo diagnostico per alcune malattie rare può arrivare fino a 20 anni e questo comporta anche un rinvio per l’accesso alle terapie. Per tale motivo potrebbe essere utile inserire nei LEA prestazioni per l’analisi del genoma e indagini biochimiche per la ricerca di malattie ereditarie del metabolismo, così come garantire l’accesso alle diagnosi prenatali e agli screening neonatali.

Trattamenti farmacologici e non farmacologici. È indispensabile favorire l’accesso alle cure in maniera rapida ed equa, garantendo la dispensazione senza oneri per il paziente anche di farmaci di fascia C, off-label, o non in commercio sul territorio italiano per i quali sia stata dimostrata un’efficacia e ritenuti essenziali e non sostituibili; utile anche l’implementazione dei modelli di Horizon Scanning e l’integrazione con i dati di Real World, che ci consente di monitorare i fenomeni.

Percorsi assistenziali. Il riordino della Rete Nazionale per le Malattie Rare previsto dalla Legge 175/2021 ha come obiettivo quello di fornire ai pazienti affetti da malattie rare un’assistenza sanitaria continua e appropriata sul territorio, garantendo al paziente la continuità delle cure.

Ricerca. Fondamentale per perfezionare l’uso di fondi dedicati alle Malattie Rare e fornire una localizzazione delle risorse disponibili, incentivare la partecipazione dei pazienti alla programmazione dei progetti di ricerca e la produzione di principi attivi (come ad esempio da parte dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare) per l’avvio di studi clinici indipendenti.

Tra i capitoli orizzontali, che sono quelli più trasversali, ritroviamo:

Formazione. Tra gli obiettivi del piano vi è quello di introdurre nei percorsi formativi (laurea, corsi di aggiornamento e formazione continua) il tema delle malattie rare, andando a coinvolgere anche le associazioni dei pazienti sia come docenti sia come discenti.

Informazione. Indispensabile per implementare e armonizzare i servizi informativi sulle Malattie Rare nazionali e regionali e favorirne l’aggiornamento, valorizzare i portali informativi, implementare la sezione del portale Orphanet italiana.

Registri di monitoraggio della Rete Nazionale Malattie Rare. Tra gli obiettivi del piano, quello di integrare la Rete Nazionale Malattie Rare con le informazioni già disponibili nei flussi nazionali e favorire l’accesso dei dati aggregati ai decisori, nonché lo sviluppo di procedure, infrastrutture e meccanismi che consentano l’integrazione dei sistemi di monitoraggio per malattie rare a livello regionale e nazionale con nuovi strumenti (FSE, Profilo Sanitario Sintetico).

A livello europeo è stata introdotta la Rare Disease European Reference Network (RDERN), una rete virtuale che mette in comunicazione i vari centri di eccellenza con centri satellite, in maniera capillare su tutto il territorio per garantire la continuità terapeutica.

Segue l’intervento del dott. Mattia Algeri, responsabile di Alta Specializzazione presso il Dipartimento di Oncoematologia e Terapia Cellulare e Genica presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Il centro è ampiamente coinvolto nella ricerca clinica e attualmente per diverse condizioni cliniche rare sono disponibili approcci con terapia genica. Tra queste le emoglobinopatie rappresentano quelle più frequentemente trattate con terapia genica. Questa può essere fatta con due modalità: terapia genica additiva tramite infusione diretta di vettori virali o non virali o nuovi approcci “genome editing”.

La terapia genica ha una storia lunga, che si è sviluppata negli ultimi trent’anni e si può dividere in tre fasi: una prima fase di non efficacia, una seconda fase in cui risultava essere efficace, ma aveva un profilo genotossico, mentre negli ultimi anni si è rivelata non solo efficace, ma anche sicura. Attualmente il problema principale è legato a valutazioni regolatorie ed economiche per rendere accessibili i trattamenti a tutti i pazienti.

Il razionale della terapia genica nelle emoglobinopatie consente il trattamento di una serie di soggetti che rimanevano esclusi dalla possibilità di ricevere trapianto allogenico di cellule staminali (tarda adolescenza o adulti). Ha il vantaggio di non richiedere un donatore HLA-identico; dall’altro lato, tra i contro ovviamente, la terapia di condizionamento presenta un profilo di tossicità inevitabile e non può essere utilizzata in pazienti con un’ematopoiesi non regolata.

Gli approcci attuali sono quindi l’uso di terapia genica additiva o delle tecniche di editing del genoma.

Il Dott. Algeri ci riporta l’esempio dell’uso di “Gene Addition Therapy” in pazienti con beta talassemia trasfusione-dipendenti, la forma più grave di malattia che richiede la somministrazione cronica di trasfusioni per mantenere il paziente in vita. Lo studio prevede la raccolta di cellule staminali ematopoietiche (CD34+) dopo mobilizzazione con G-CSF o plerixafor; segue un trattamento di condizionamento mieloablativo con Busulfano e quindi l’infusione del farmaco ingegnerizzato. Infatti le cellule raccolte vengono trasdotte con un vettore lentivirale BB305, crioconservate, testate e rilasciate come prodotto da reinfondere. È stata valutata l’efficacia del trattamento, dopo due anni di follow-up, monitorando i livelli di emoglobina totale e HbAT87Q, il numero di trasfusioni e il numero medio di copie virali. Dallo studio è emerso che, già dopo pochi mesi di terapia, i pazienti trattati non hanno più necessitato di trasfusioni e la maggior parte ne ha ridotto drasticamente il numero. Per quanto riguarda il profilo di sicurezza, questo è sicuramente migliore rispetto al trapianto allogenico: il trattamento può essere somministrato anche a pazienti con età avanzata; solo il 19% dei casi ha riportato almeno una reazione avversa, la malattia da veno-occlusione epatica si è verificata nell’11% dei pazienti e risolta con un adeguato trattamento, non è stata riscontrata la comparsa di tumori, oncogenesi inserzionale, o generazione potenziale di lentivirus competenti per la replicazione.

Lo stesso tipo di approccio è stato utilizzato per il trattamento della drepanocitosi (Sickle Cell Disease - SCD): in questi pazienti il trattamento con terapia genica permette di interrompere le crisi veno-occlusive. In pazienti con drepanocitosi si sono verificati dei casi di comparsa di Leucemia Mieloide Acuta e mielodisplasia, la cui correlazione però non è confermata con l’uso di LentiGlobin: questo conferma l’importanza del monitoraggio a lungo termine dei pazienti sottoposti a trattamento con terapia genica.

Il secondo approccio per il trattamento della drepanocitosi e della beta talassemia è quello del Gene Editing tramite CRISPR-Cas9, il cui schema di trattamento non differisce molto dalla terapia additiva, ma essenzialmente cambia il metodo di lavorazione delle cellule.

Il dott. Algeri ha concluso il suo intervento con delle considerazioni sull’acceso a questo tipo di terapie, riportando il caso di Bluebird Bio, che ha sviluppato, sperimentato e autorizzato due terapie geniche per malattie rare in Europa, nello specifico Zynteglo per la beta talassemia e Skysona per l’adrenoleucodistrofia legata all’X (X-ALD), ma nel 2022 ha deciso di ritirare le operazioni commerciali dopo il fallimento di un accordo con i Sistemi Sanitari Europei sui costi di rimborso. Un caso simile si è verificato con Orchard therapeutics, azienda il cui portfolio è focalizzato sulle malattie rare che, come Bluebird bio, ha deciso di abbandonare la ricerca sulle terapie geniche a causa dei licenziamenti.

Le malattie rare hanno avuto un ruolo centrale nel campo della terapia genica sin dalle loro fasi iniziali, ma nonostante i risultati promettenti, le terapie geniche trasformative potrebbero non essere accessibili ai pazienti per motivi non clinici. Infatti i percorsi regolatori e tradizionali per la commercializzazione sembrano essere proibitivi per popolazioni di pazienti limitate, a causa degli elevati costi di sviluppo pre-clinico, i processi di produzione complessi, i costi della sperimentazione clinica, i tempi prolungati di follow-up, eccetera, e per questo motivo diverse compagnie in questo ambito si stanno ritirando dal mercato europeo.

Segue l’intervento di Gianluca Trifirò, professore ordinario di Farmacologia (Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica presso l’Università di Verona), che ha parlato del ruolo della Real World Evidence (RWE) nella valutazione di farmaci orfani e malattie rare.

A partire dal 2002 numerosi sono i farmaci orfani autorizzati da AIFA e questi hanno un impatto significativo non solo sulle malattie rare, ma ovviamente anche sulla spesa farmaceutica. Dal rapporto Horizon Scanning del 2023 si evince come l’attenzione per le malattie rare e i farmaci orfani sia sempre più crescente: infatti i nuovi farmaci orfani nel 2022 erano 20, mentre nel 2023 ne risultavano 28.

Un aspetto importante da considerare è quello dell’impossibilità di condurre trial clinici di larga scala e lunga durata, e in questo la RWE gioca un ruolo importante e può essere integrata nelle procedure autorizzative di farmaci orfani.

A oggi abbiamo a disposizione una notevole quantità di fonti RWE eterogenee anche sotto forma di large-scale distribuited database networks.

A tal proposito è stata avviata DARWIN EU, piattaforma europea per la generazione di evidenze real-world a supporto del processo decisionale dei comitati scientifici di EMA e delle autorità competenti a livello nazionale. Dal punto di vista regolatorio la RWE è già presa in considerazione nei processi autorizzativi di farmaci orfani come fonte di controllo storico, o in altri casi come fonte unica per generare utili per l’approvazione alla commercializzazione di un farmaco, come nel caso di Alpelisib, la cui efficacia è stata valutata usando real-world data di pazienti trattati con il farmaco a uso compassionevole.

Nell’ambito delle malattie rare vi è la necessità di raccogliere i dati epidemiologici e di eleggibilità con farmaci orfani, nonché di accelerare la diagnosi e il trattamento: l’analisi di dati dal mondo reale può fornire gli strumenti adatti per la loro identificazione e lo sviluppo di algoritmi predittivi di diagnosi con tecniche di machine learning.

Sebbene con alcune limitazioni, i database italiani di farmacovigilanza e le cartelle cliniche elettroniche possono fornire molte informazioni cliniche utili sulle malattie rare e i farmaci orfani e l’unione di questi due dati ha un grande potenziale per migliorare la sorveglianza.

La creazione di fonti di dati nazionali integrate in modo strutturato, tenendo conto dei requisiti della ricerca clinica di alta qualità e delle esigenze normative, è indispensabile per fare ricerca clinica di elevata qualità.

Registri e banche dati sanitarie sono uno strumento fondamentale per monitorare il profilo rischio-beneficio e appropriatezza d’uso dei farmaci orfani ed epidemiologia delle malattie rare in real world setting.

In futuro, l’obiettivo sarà quello di sviluppare approcci innovativi per integrare le informazioni disponibili in differenti tipologie di fonti di dati, non solo per generare RWE sui farmaci orfani, ma anche per l’identificazione precoce di malattie rare e gli operatori sanitari, i decisori e i pazienti devono contribuire congiuntamente a generare RWE.

Interviene quindi Valentina Orlando, Professoressa presso il CIRFF (Centro Interdipartimentale di Ricerca in Farmacoeconomia e Farmacoutilizzazione) del Dipartimento di Farmacia dell’Università degli studi di Napoli Federico II e Direttore Scientifico del Laboratorio Health CaRE. Come nel precedente intervento, anche Orlando sottolinea l’importanza di sviluppare l’attività di ricerca che sia applicata a real world data per migliorare i processi decisionali all’interno della governance sanitaria.

Oggigiorno si parla molto di outcome research e governance, ma ancora poco su come l’outcome research possa essere a servizio della governance; per far sì che questi due aspetti possano lavorare in sinergia può essere utile progettare un outcome management:

traducendo le evidenze scientifiche disponibili in azioni di politica sanitaria;

valutando clinicamente gli esisti delle politiche sanitarie in Real World;

migliorando le conoscenze culturali dei policy maker;

promuovendo Empowerment ed Engagement del paziente;

producendo nuove evidenze scientifiche.

La prof.ssa Orlando ha presentato quindi il progetto Pharma RaRe che ha tra gli obiettivi quello di realizzare una struttura di governance dedicata alla valutazione del patient journey dei pazienti con patologie rare.

Rientrano tra gli obiettivi del progetto:

implementare gli strumenti di monitoraggio dei farmaci usati per le malattie rare;

creare modelli predittivi di diagnosi precoce e di aderenza alle terapie;

creare strumenti di supporto della governance farmaceutica sanitaria;

rispondere ai bisogni terapeutici del paziente con patologia rara;

creare uno strumento di business intelligence di monitoraggio dei farmaci e per l’aderenza alle terapie.

Infatti, analizzando quello che è il reale patient journey del paziente al quale viene diagnosticata una patologia rara, dovremmo chiederci se il paziente ha compreso le informazioni dei medici, se sa di doversi recare in farmacia per ritirare i farmaci, se la farmacia gli fornisce il farmaco. Una volta iniziato il trattamento dovremo domandarci se il farmaco è stato assunto correttamente e se quindi il paziente ha giovato del trattamento, se il paziente è stato aderente e se deve continuare il trattamento e che impatto clinico-economico ha tutto questo. Solo facendo tutte queste considerazioni potremo scorporarci dalla visione a silos per il quale è solo il farmaco ad essere estremamente costoso: in realtà la mancata aderenza, la mancata presa in carico e i costi dei ricoveri impattano molto di più della farmaceutica.

Federico Lega, professore di Economia Aziendale presso l’Università di Milano, offre degli spunti di riflessione per quella che è la tavola rotonda. Lega sottolinea come la concentrazione dell’offerta sia presente prevalentemente al nord Italia, e questo comporta un filone migratorio importante nell’ambito delle malattie rare, nonché un’elevata variabilità dei percorsi assistenziali.

Ovviamente un paziente che ha un sintomo per i quali non viene diagnosticata una patologia, produce dei consumi crescenti all’interno del sistema, che a sua volta genera uno stress sullo stesso sistema, in quanto i farmaci sono estremamente costosi. Secondo Lega avremmo quindi necessità, oltre al SSN, di un’agenzia nazionale dedicata alle malattie rare, con una struttura gerarchica e un coordinamento a macro-aree regionali attorno alle quali generare le reti cliniche e i centri di riferimento.

Apre la tavola rotonda la dott.ssa Annalisa Scopinaro, presidente UNIAMO, che riprende in mano il Piano Nazionale Malattie Rare: in tre anni di lavoro, il gruppo ha lavorato di concerto e licenziato nella forma definitiva il PNMR, cercando di toccare tutti gli aspetti che accompagnano una persona con malattia rara come il percorso diagnostico, che permetta di non ritardare nella diagnosi, la presa in carico, trattamenti accessibili e ricerca per dare speranza a chi una terapia ancora non ce l’ha.

L’informazione deve essere trasversale e fatta con strumenti certificati che diano la giusta informazione ai pazienti; infatti non tutte le terapie sono idonee a diversi pazienti con la stessa patologia a causa della elevata variabilità di forme della stessa e della specificità dei trattamenti. L’informazione corretta è quindi fondamentale per non disattendere le aspettative del paziente.

Fondamentale è l’aspetto della formazione, che deve partire dai centri di eccellenza ed essere trasmessa, anche attraverso la telemedicina, ai centri della ASL prossima al paziente; in questo le ERN stanno facendo un lavoro importante per diffondere la conoscenza della rete di malattie rare.

Scopinaro inoltre riconosce l’importanza del farmacista ospedaliero, il cui ruolo è centrale in tutta la filiera del farmaco, dall’approvvigionamento della terapia del paziente con malattia rara, l’aderenza, la distribuzione del farmaco e l’importazione dall’estero.

Federica Tangari, farmacista presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, ritorna sul tema degli unmet needs e come sia importante andare a indagare quali siano i bisogni dei pazienti, specialmente in un contesto come quello pediatrico, dove il ruolo del caregiver è indispensabile. Pertanto è partito un progetto per andare incontro ai bisogni dei pazienti, sottoponendo un questionario che permettesse di valutare il servizio, l’erogazione del farmaco, dei preparati galenici e farmaci di fascia C e la velocità di accesso alle cure.

Dall’indagine è emerso che la problematica più comune riscontrata è quella della distanza dal domicilio, mentre la figura del farmacista è stata individuata come un riferimento fondamentale per l’accesso alle cure.

È intervenuto infine nella tavola rotonda, il Presidente SIFO Arturo Cavaliere, il quale ha evidenziato come la SIFO da sempre abbia posto attenzione al tema delle malattie rare evidenziando come la figura del farmacista ospedaliero funga da facilitatore per l’accesso precoce alle cure e la personalizzazione attraverso l’allestimento di preparati galenici. Il Presidente ha riportato la sua esperienza circa la prima terapia genica somministrata nella Regione Lazio. Il farmacista ospedaliero è stato coinvolto nell’interazione con la ASL di residenza del paziente; inoltre, essendo il farmaco ancora in fase di contrattazione con AIFA, è stato necessario contattare l’azienda, nonché AIFA per contenere i tempi. Avendo il farmaco un timing ben preciso, che non permetteva di rimandare l’infusione e di procedere all’acquisto in maniera celere, la farmacia, dopo il coinvolgimento del provveditorato e l’approvazione della Direzione Generale, ha dovuto sottoscrivere un contratto personalizzato, con il quale la ASL si impegnava a trasmettere l’ordine elettronico inserendo il prezzo medio europeo di oltre 2 milioni di euro e che, una volta contrattato il prezzo, sarebbe stato inviato un nuovo ordine elettronico con nota di credito a compensazione del prezzo approvato da AIFA. Il tutto ha permesso di avere il farmaco pronto da infondere in soli 3 giorni.

CONCLUSIONI

L’incontro ha sottolineato l’importanza di affrontare le sfide legate alle malattie rare attraverso strategie di prevenzione, diagnosi tempestiva, accesso equo ai trattamenti innovativi e una governance sanitaria efficace, con un focus particolare sul ruolo cruciale dei farmacisti.