Mini-review sullo stato dell’arte dei trattamenti disponibili contro l’infezione da Covid-19

Marco Bellizzi

Dirigente Farmacista, ASST Valtellina ed Alto Lario, Ospedale di Sondrio

A partire dal mese di dicembre 2019, la malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) si è diffusa in tutto il mondo portando ad numero di casi accertati che ha superato i 9 milioni di unità (dati riferiti al 25 giugno 2020, fonte: sito istituzionale Ministero della Salute). L’agente eziologico della Sindrome Respiratoria Severa Acuta 2 (SARS-Cov-2) è un nuovo betacoronavirus che, in modo analogo ad altri coronavirus, è caratterizzato da una morfologia sferica e dall’espressione di specifiche glicoproteine Spike sulla superficie virale. Esso presenta un’importante analogia di sequenza con i virus SARS CoV e bat SARS-like coronavirus (SL-Cov). Pur mostrando un’inferiore patogenicità rispetto alle altre tipologie di SARS, esso presenta un’elevata trasmissibilità. La penetrazione nella cellula ospite è il primo step nella trasmissione tra specie. SARS-Cov 2 presenta la capacità di infettare le cellule epiteliali alveolari di tipo II causando un danno alveolare ad infezione in corso.

Lo stato di pandemia, proclamato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel mese di marzo 2020, ha destato preoccupazioni soprattutto nella popolazione anziana, che è risultata esser la più colpita in termini di mortalità e gravità della sintomatologia. I dati, al 26 aprile 2020, indicavano 193.710 morti totali con tassi di mortalità tra gli ultraottantenni 5 volte maggiori rispetto alla media totale.1 Oltre il 95% delle morti da Covid-19 in Europa ha riguardato persone ultrasessantenni.2 Negli USA l’80% dei morti ha un’età superioe a 65 anni,3 mentre in Cina l’80% delle morti ha interessato persone con età superiore a 60 anni.4

La rapidità con la quale il virus si è diffuso ha costretto la comunità scientifica a delineare una strategia al fine di poter contenere e, al contempo, trattare il virus in maniera tempestiva. Inizialmente, senza nessuna terapia vaccinale disponibile, i trattamenti sono stati avviati in manier molto empirica, basandosi sulla sola esperienza dei clinici. Le linee guida della National Health Commission (NHC) della Repubblica Popolare Cinese, nazione colpita prima rispetto alle altre, hanno consigliato l’utilizzo di farmaci antivirali quali l’interferone alfa (IFN alfa), l’associazione Lopinavri/Ritonavir oltre a farmaci meno specifici quali Clorochina fosfato ed Arbidolo. Attualmente, in Italia, invece, i ‘farmaci utilizzabili per il trattamento della malattia Covid-19’ sono rappresentati da: Lopinavir/Ritonavir; Darunavir/Cobicistat; Azitromicina ed Eparine a Basso Peso Molecolare (EBPM) (Fonte: sito istituzionale AIFA, 25 giugno 2020).

Updated Approaches against SARS-CoV-2

Li H, Zhou Y, Zhang M, Wang H, Zhao Q, Liu J.; Antimicrob Agents Chemother 64:e00483-20

Ad oggi, sulla base di specifiche ricerche scientifiche, sono stati delineati diversi approcci potenzialmente utili a rallentare o bloccare la replicazione virale quali:

inibizione della fusione/entrata di SARS-Cov2;

interruzione del processo di replicazione virale di SARS-Cov2;

soppressione dell’eccessiva risposta infiammatoria;

trattamento con plasma convalescente;

sviluppo di vaccini specifici.

INIBIZIONE DELLA FUSIONE/ENTRATA DI SARS-COV2

Analogamente a SARS-Cov, SARS-Cov-2 si serve di una glicoproteina Spike (proteina S) per poter penetrare nella cellula ospite. È stato dimostrato che la proteina S lega il recettore per l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE-2) nelle cellule infette in maniera più selettiva rispetto a SARS-Cov. Questa scoperta ha spinto i ricercatori a chiarire il meccanismo di interazione di tale proteina ritenuta un potenziale bersaglio molecolare. Dall’analisi effettuata su uno specifico dominio di legame recettoriale (RBD), è emerso che SARS-Cov2 presenta un’omologia di sequenza con SARS-Cov. Nella fattispecie, uno specifico RBD della proteina S ha mostrato un profilo idoneo per lo studio di anticorpi neutralizzanti.




A tal proposito, è stato scoperto che l’anticorpo neutralizzante CR3022, specificamente formulato per SARS-Cov, lega in maniera potente l’RBD di SARS-Cov2. Purtroppo, da studi recenti, effettuati da Zheng e collaboratori, è emerso che più dell’85% degli epitopi contenuti nel dominio RBD presentano sostanziali differenze rispetto a quelle di SARS-Cov, rendendo l’anticorpo poco efficacie. Ciò non esclude che l’interazione tra l’enzima ACE-2 e la proteina S rappresenti un possibile futuro target. Il plausibile utilizzo del recettore ACE2 come specifico obiettivo è tuttora in fase di valutazione in un trial clinico pilota aperto, controllato, randomizzato che prevede l’utilizzo dell’enzima ACE2 ricombinante (rhACE2; GSK2586881) in pazienti COVID-19 positivi che presentano sintomatologia grave (ClinicaTrials N. NCT04287686). Un ulteriore enzima target implicato nei meccanismi di ingresso cellulare del virus è rappresentato dalla proteasi cellulare TMPRSS2. A tal proposito, Camostat mesilato, un inibitore di tale enzima, potrebbe esser preso in considerazione per l’utilizzo negli studi clinici in quanto ha dimostrato di inibire il processo infettivo sostenuto da COVID-19 in linee cellulari polmonari. Inoltre, le proteine heptad repeat 1 (HR1) ed heptad repeat 2 (HR2) sono coinvolte nel processo di fusione virale con la cellula umana. Xia ed i suoi collaboratori hanno dimostrato che i derivati peptidici HR2 (HR2P) ed EK1 (OC43-HR2P) posseggono attività inibitoria verso il processo di fusione/entrata e potrebbero esser presi in considerazione per trattare le infezioni da SARS-Cov2.

Un altro possibile target è rappresentato dal processo di endocitosi che dipende da un meccanismo recettoriale PH-dipendente. La proteina AP-2 Associated Protein Kinase 1 (AAK1) regola i processi di endocitosi Clatrina-mediati. Attraverso delle elaborazioni basate su tecnologie di intelligenza artificiale, è stato scoperto che Baricitinib, un potente inibitore delle Janus Kinase (JAK), è in grado di legare l’enzima AAK-1 con alta affinità già al dosaggio terapeutico approvato per i setting di trattamento dell’artrite reumatoide. Sulla base di tali evidenze, in Italia, è stato avviato lo studio BARCIVID (MultiCentre, randomised, Phase IIa clinical trial evaluating efficacy and tolerability of Baricitinib as add-on treatment of patients with COVID-19 compared to standard therapy) che prevede l’utilizzo del Baricitinib, confrontato con lo standard di trattamento, in pazienti che presentino valori di saturazione di ossigeno ≤93% non sottoposti a ventilazione polmonare (fonte: sito istituzionale AIFA – Sperimentazioni cliniche – COVID-19).

La lista dei farmaci potenzialmente utilizzabili per il trattamento di SARS-Cov2 include anche l’Arbidol, Clorochina fosfato ed Idrossiclorochina solfato. Nella fattispecie, Arbidol ha mostrato di inibire i meccanismi di entrata/fusione di differenti virus verso le membrane cellulari umane, mentre Clorochina fosfato ed il suo analogo idrossilato Idrossiclorochina hanno mostrato di inibire efficacemente l’infezione virale in vitro. Partendo da questo presupposto, sono stati avviati diversi Clinical Trial a livello mondiale per testarne gli effetti in vivo. Inizialmente, si è ritenuto che tali farmaci fossero efficaci nell’inibire le esacerbazioni della polmonite da SARS-COV2. In un secondo momento, invece, in seguito ad evidenze derivanti da uno studio retrospettivo pubblicato su The Lancet, poi ritirato per inattendibilità, è stato ipotizzato un aumento della mortalità in pazienti trattati con Clorochina o Idrossiclorochina. Alla luce di questi risultati discordanti, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha sospeso l’autorizzazione all’utilizzo off-label dei due farmaci in questione al di fuori delle sperimentazioni cliniche. Il meccanismo d’azione rimane controverso: entrambi i farmaci interferirebbero con il processo di entrata virale endosoma-mediata od anche con l’ultimo step di replicazione del virus.

INTERRUZIONE DEL PROCESSO DI REPLICAZIONE VIRALE DI SARS-Cov2

Esistono diversi farmaci antivirali che hanno come bersaglio differenti enzimi come le proteasi, le polimerasi, le Mtasi e le proteine di ingresso virale. Sono state avviate diverse sperimentazioni cliniche sin dall’inizio della pandemia volte ad indagare l’attività antivirale di differenti farmaci o associazioni di tali come Lopinavir/Ritonavir, Favipiravir, Arbidol e Remdesivir. Quest’ultimo, nella fattispecie, è risultato esser il più promettente per trattare l’infezione da SARS-Cov2. Presenta una struttura fosforamidica analoga all’adenosina ed agisce da profarmaco. La sua forma attiva (fosforilata) viene incorporata nell’RNA virale nascente attraverso l’enzima RNA-polimerasi RNA dipendente provocandone l’arresto della sintesi stessa. La sua attività è stata ampiamente dimostrata sia in vitro che in vivo e, ad oggi, può essere senza dubbio annoverato tra i farmaci con maggiore attività provata verso il virus Covid-19. Favipiravir e Ribavirina sono profarmaci analoghi alla guanina, già approvati per il trattamento di altre infezioni virali. Gli studi sperimentali in corso per testarne l’efficacia nel contesto SARS-Cov2 (e.g. HS216C17– Studio di fase 3 sull’utilizzo di favipiravir, fonte: sito istituzionale AIFA) ne decreteranno l’utilità in termini di efficacia e sicurezza. L’associazione Lopinavir/Ritonavir, classici inibitori delle proteasi del virus HIV, mostra anche attività di inibizione delle proteasi del coronavirus 3C-like protease (3CLpro). Queste ultime sono responsabili del clivaggio del polipeptide derivante dall’RNA genomico verso componenti proteici funzionali. Dall’analisi svolta con l’High-Throughput screening sono emerse diverse molecole che presentano affinità verso la proteasi 3CLpro tra le quali annoveriamo Prulifloxacina, Tegobuvir, Bictegravir e Nelfinavir. Gli studi in corso permetteranno di stabilire quale ruolo potranno avere nel trattamento antivirale mirato.

Anche il genoma dell’RNA di SARS-Cov2 potrebbe rappresentare un potenziale bersaglio. Nguyen ed i suoi collaboratori hanno testato l’utilizzo del sistema di knockdown dell’RNA chiamato CRISPR/Cas13 per la scissione del genoma virale di SARS-Cov2. Tale sistema è composto da una proteina Cas13d legata a delle sequenze spaziatrici contenenti frammenti guida di RNA complementari a quelle dell’RNA genomico virale. I ricercatori ritengono che, teoricamente, l’effettore Cas13d possa esser veicolato verso i polmoni infetti utilizzando degli specifici ceppi di virus adeno-associati (AAV).

SOPPRESSIONE DELL’ECCESSIVA RISPOSTA INFIAMMATORIA

Una risposta citochinica coordinata sta alla base del corretto funzionamento di un sistema immunitario non compromesso. Tuttavia, in alcuni pazienti infettati da SARS-Cov2, è stata evidenziata una disregolazione dell’attività citochinica che provoca uno stato iperinfiammatorio sistemico. In effetti, è stato ampiamente dimostrato che i pazienti ricoverati in Unità di Terapia Intensiva (UTI) mostrano più elevate concentrazioni di citochine plasmatiche rispetto ai pazienti meno compromessi (non UTI); ciò ha permesso di correlare gli elevati livelli di citochine circolanti, definiti anche ‘tempesta citochinica’ o ‘cytokine storm’, alla gravità dell’infezione. Nei pazienti ricoverati in UTI sono stati inoltre rilevati livelli maggiori di cellule T CD4+ positive per il granulocyte-macrophage colony-stimulating factor (GM-CSF) e per l’interleuchina 6 (IL-6). In considerazione di ciò, risulta evidente che l’inibizione farmacologica dell’eccessiva risposta infiammatoria può rappresentare una terapia di supporto per il trattamento del Covid-19. L’uso terapeutico di corticosteroidi, che in genere mostrano eccellenti effetti antinfiammatori sistemici, è stato molto dibattuto. In linea teorica, non vi sarebbero dati disponibili tali da dimostrare che i pazienti possano trarre beneficio dal trattamento corticosteroideo nelle infezioni di SARS-CoV o MERSCoV. In realtà, nello studio RECOVERY (Randomised Evaluation of COVid-19 thERapY), il quale ha incluso un totale di 2104 pazienti randomizzati a ricevere desametasone 6 mg/die (somministrazione orale o endovena) per 10 giorni rispetto a 4321 pazienti randomizzati a ricevere la cura standard (standard of care), si è rilevato che il desametasone riduce di 1/3 le morti nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica (Rate Ratio = 0,65, intervallo di confidenza 95%, 0,48 – 0,88; p = 0,0003) e di 1/5 le morti negli altri pazienti sottoposti ad ossigeno-terapia (Rate Ratio = 0,80 [0,67 - 0,96]; p = 0,0021) (fonte: Oxford University, studio RECOVERY).

A livello cellulare, invece, è stato dimostrato che le cellule T CD4+ vengono rapidamente attivate per produrre GM-CSF ed altre citochine pro-infiammatorie a seguito di esposizione ad agenti virali quali SARS-Cov2, inducendo l’attivazione dei monociti CD14+ e CD16+ e la conseguente iperespressione di interleuchina 6 (IL-6). Questo determina il razionale che supporta l’utilizzo di inibitori del recettore per l’IL-6 al fine di inibire i meccanismi immuno-patologici che stanno alla base dell’infezione. Ad oggi, sono disponibili diversi Randomized Controlled Clinical Trial (RCT) multicentrici che esaminano l’utilizzo di anticorpi monoclonali (monoclonal AntiBodies, mAB) per l’inibizione dell’attività dell’IL-6 (e.g. Studio TOCIVID-19, fonte: sito istituzionale AIFA).

TRATTAMENTO CON PLASMA CONVALESCENTE

Il plasma convalescente (CP) potrebbe rappresentare un trattamento d’elezione per pazienti non responder. Esso è ottenuto da soggetti Covid-19 positivi donatori che hanno sviluppato un sufficiente numero di cellule mediatrici dell’immunità umorale circolanti (anticorpi umani specifici) utili a neutralizzare il virus. Il punto debole di questa tipologia di trattamento rimane, ad oggi, la totale mancanza di studi clinici randomizzati di buona qualità, oltre che un definito meccanismo d’azione che ne giustificherebbe l’utilizzo. Le linee guida della National Health Commission (NHC) della Repubblica Popolare Cinese, ad esempio, ne raccomandano l’utilizzo esclusivamente per pazienti che evidenziano una rapida progressione della malattia o versano in condizioni critiche.

SVILUPPO DI VACCINI SPECIFICI

La vaccinazione, ad oggi, rimane la terapia maggiormente efficacie nel contrasto ai virus. Lo sviluppo di nuovi vaccini diretti contro il Covid-19 dev’esser caldeggiato in maniera netta, a prescindere dagli sforzi economici da sostenere. La scoperta di un vaccino efficace e duraturo rappresenta, senza dubbio, il metodo più utile anche sotto il profilo costo/efficacia. La ricerca è molto attiva in tale direzione e la proteina S rappresenta un obiettivo chiave per lo sviluppo di un vaccino. Di recente, Wrapp ed i suoi collaboratori, attraverso tecniche di crio-microscopia elettronica, hanno analizzato la struttura del trimero SARS-Cov2 S (proteina Spike) che ha permesso di accelerare il processo di sviluppo del vaccino. In aggiunta a ciò, Lucchese ed i suoi collaboratori hanno identificato i pentapeptidi presenti in SARS-CoV-2, confrontando i proteomi umani con quelli virali; ciò ha permesso di scoprire 107 pentapeptidi ‘human-foreign’ incorporati nella proteina S che contengono, a loro volta, 66 epitopi candidati per lo sviluppo di specifici vaccini. Ad oggi, nel mondo, si stanno sviluppando e testando più di 15 potenziali vaccini che includono: vaccini inattivati, vaccini a subunità ricombinanti, vaccini a base di acidi nucleici, vaccini a base di vettori adenovirali, vaccini ricombinanti a base di vettori influenzali, etc.

CONSIDERAZIONI

Le strategie terapeutiche potenzialmente utilizzabili per il trattamento dell’infezione da Covid-19 sono in continuo aggiornamento. Gli approcci più efficaci nel trattare direttamente l’infezione ed i sintomi ad essa correlati potrebbero essere rappresentati da terapie specificamente mirate verso un recettore bersaglio espresso da SARS-Cov2 (e.g. Remdesivir), per inibire la replicazione virale, e da terapie di supporto per trattare lo stato infiammatorio sistemico (e.g. corticosteroidi). A tutt’oggi, gli sforzi sostenuti per decifrare il genoma virale si stanno rivelando preziosissimi per poter sviluppare nuovi target molecolari e, di conseguenza, nuovi potenziali trattamenti. Tuttavia, la chiave di volta è rappresentata dallo sviluppo di un vaccino che permetta di attuare regimi profilattici volti al rallentamento del contagio virale che, qualora fosse completato, porterebbe ad una svolta nel contenimento dell’infezione a livello globale.

BIBLIOGRAFIA

1. COVID-19 Strategy Update, 14 April 2020. World Health Organization. https://www.who.int/publications-detail/covid-19-strategy-update---14-april-2020 (data di ultima consultazione 02/07/2020).

2. http://www.euro.who.int/en/health-topics/health-emergencies/coronavirus-covid-19/statements/ statement-older-people-are-at-highest-risk-from-covid-19,-but-all-must-act-to-prevent-community-spread (data di ultima consultazione 02/07/2020).

3. https://www.cdc.gov/mmwr/volumes/69/wr/mm6912e2.htm?s_cid=mm6912e2_w (data di ultima consultazione 02/07/2020).

4. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/32064853 (data di ultima consultazione 02/07/2020).