La persistenza al trattamento: metodica di calcolo attraverso il “refill-gap method”

Fiorenzo Santoleri

Segretario Regionale SIFO Abruzzo – Molise; Componente ASC Farmacoutilizzazione

La persistenza al trattamento definisce l’intervallo di tempo che intercorre tra l’inizio e la fine della terapia, quest’ultima intesa come il momento in cui il paziente interrompe l’assunzione del farmaco.1 La persistenza al trattamento e l’interruzione dello stesso sono tra loro correlati e possono essere calcolati attraverso il flusso dati della farmaceutica. Al fine di una corretta misura è necessario che siano soddisfatte due ipotesi: la prima è che il farmaco per essere assunto deve essere in possesso del paziente e la seconda è che, una volta dispensato dal farmacista e registrato nel flusso della farmaceutica, il paziente assuma il farmaco. Un metodo alternativo a quello derivante dalle informazioni di dispensazione è quello basato sulle prescrizioni con dati desumibili dalle cartelle cliniche.2,3 Tale metodica però tende a sovrastimare il dato poiché a fronte di una prescrizione da parte del clinico potrebbe non verificarsi il ritiro del farmaco da parte del paziente. Tenuto conto della limitazione dovuta all’assenza di costatazione oggettiva riguardo l’effettiva assunzione del farmaco da parte del paziente dopo che è stato dispensato dalla farmacia, il metodo più attendibile per il calcolo della persistenza resta quello basato sulle dispensazioni e definito come “refill-gap method”.

In Figura 1 è rappresentato schematicamente il percorso di un paziente e quelli che sono i possibili passaggi da prendere in considerazione per il calcolo della persistenza. Di seguito verranno descritti analiticamente i punti indicati nei triangoli al fine predisporre e ottimizzarne il corretto calcolo.




Punto 1. È necessario assicurarsi che il T0 (tempo zero) sia effettivamente la prima data di dispensazione del farmaco in studio. A tal proposito è utile stabilire un tempo, di solito 365 giorni, ma può variare a seconda del farmaco, che si utilizza per effettuare tale verifica. Se il codice paziente presente tra T0 e T1 non compare tra T e T0 allora si può considerare come T0 la data di prima dispensazione del farmaco in studio.

Dal T0 in poi, il percorso del paziente sarà caratterizzato da diverse date di dispensazione (refill) che alimenteranno il calcolo della persistenza. La formula di calcolo della persistenza al trattamento è: P = (refil) + copertura ideale dell’ultimo refill in base alla posologia.

Un aspetto critico nel calcolo della persistenza è stabilire il tempo massimo, a partire dall’ultima dispensazione, entro il quale il paziente può essere ancora definito persistente (Punto 4). Convenzionalmente, dall’ultima data di dispensazione e dalla quantità di farmaco consegnata al paziente, in base al dosaggio prescritto (Prescribed Daily Dose, PDD) se disponibile, o al dosaggio standard (Defined Daily Dose, DDD), è possibile calcolare la data ideale di copertura farmacologica. A partire da questo ultimo intervallo ideale si considerano altri 60 giorni.4 Se dall’ultimo intervallo ideale non è presente nessun’altra dispensazione compresa nei 60 giorni il paziente si considera discontinuo. Tale intervallo, però, deve essere stabilito in funzione del farmaco da studiare e della posologia dello stesso. Per farmaci a somministrazione quotidiana si considerano due refill ideali a partire da T1. Quindi, per 1 confezione da 30 compressa con posologia di 1 al giorno, il refill ideale è di 30 giorni. Se si dovessero analizzare farmaci con posologia di 1 ogni 3 mesi, l’intervallo che indica se il farmaco è “in discontinuation” è pari a 180 gg.

Complicazioni alla identificazione del T1, come fine terapia, possono essere rappresentati da interruzioni dovute a:

Punto 2. Ospedalizzazioni per motivi indipendenti dal farmaco e dalla terapia in studio. Dal punto di vista metodologico il periodo di permanenza in ospedale potrebbe identificare un’interruzione di terapia e, quindi, una persistenza minore rispetto al T1 ma è anche vero che il paziente potrebbe continuare ad assumere il farmaco in degenza. Tale informazione non rientrando nel flusso della farmaceutica, potrebbe non essere intercettata. Questa condizione rappresenta un limite dell’analisi di persistenza basata su refill-gap difficile da superare. Dal punto di vista metodologico potrebbe essere descritta attraverso l’individuazione degli intervalli maggiori di 60 giorni all’interno del T1-T0 effettuando però un’analisi non più basata sul refill-gap ma, stabilendo un intervallo di tempo fisso, individuando una data minima e massima di dispensazione per poi fare un’analisi del refill-gap. Un’altra opzione potrebbe essere quella di ricorrere all’analisi delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) che permette di intercettare gli eventuali periodi di degenza. Ovviamente tale analisi non prende in considerazione ospedalizzazioni avvenute in ospedali diversi da quelli di pertinenza del ricercatore.

Un altro limite, analogo al precedente, è quello descritto dal Punto 3 dove l’interruzione potrebbe essere causata dall’insorgenza di effetti avversi riconducibili direttamente al farmaco in studio che però non generano un’interruzione definitiva del trattamento ma solo una sospensione momentanea. Anche questo caso è di difficile gestione da parte del ricercatore che, non avendo informazioni in merito, non riesce a motivare il gap. Questo limite può essere superato attraverso l’analisi delle cartelle cliniche o da un’interlocuzione con il paziente stesso all’atto della dispensazione. La prima ipotesi è di natura retrospettiva e presuppone una collaborazione con il clinico di riferimento mentre la seconda ha un carattere prospettico che vede l’adozione di una progettazione di studio che coinvolga il paziente ad ogni dispensazione, anche grazie alla sottomissione di brevi domande standardizzate.

La persistenza al trattamento, definita anche Time To Discontinuation (TTD), è un indice robusto dell’analisi di farmacoutilizzazione perché, indicando il tempo di permanenza del paziente con il farmaco in studio, è una misura della qualità del trattamento studiato. Per patologie croniche la persistenza al trattamento è stata definita come indice affidabile di efficacia e sicurezza delle terapie.5 Per alcune condizioni cliniche non esiste ancora un dato di questo tipo,6 ciò sottolinea, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’importanza delle analisi di farmacoutilizzazione e della necessità di interpretare le evidenze generate dall’analisi dei dati provenienti dal flusso della farmaceutica.

BIBLIOGRAFIA

1. Dezii CM. Persistence with drug therapy: a practical approach using administrative claims data. Manag Care 2001;10(2):42-5.

2. Jones JK, Gorkin L, Lian JF, Staffa JA, Fletcher AP. Discontinuation of and changes in treatment after start of new courses of antihypertensive drugs: a study of a United Kingdom population. BMJ 1995;311(7000):293-5.

3. Li P, McElligott S, Bergquist H, Schwartz JS, Doshi JA. Effect of the Medicare Part D coverage gap on medication use among patients with hypertension and hyperlipidemia. Ann Intern Med 2012;156(11):776-84, W-263, W-264, W-265, W-266, W-267, W-268, W-269.

4. Peterson AM, Nau DP, Cramer JA, Benner J, Gwadry-Sridhar F, Nichol M. A checklist for medication compliance and persistence studies using retrospective databases. Value in health : the journal of the International Society for Pharmacoeconomics and Outcomes Research 2007;10(1):3-12.

5. Gniadecki R, Kragballe K, Dam TN, Skov L. Comparison of drug survival rates for adalimumab, etanercept and infliximab in patients with psoriasis vulgaris. The British Journal of Dermatology 2011;164(5):1091-6.

6. Oelke KR, Chambenoit O, Majjhoo AQ, Gray S, Higgins K, Hur P. Persistence and adherence of biologics in US patients with psoriatic arthritis: analyses from a claims database. Journal of Comparative Effectiveness Research 2019.