Il farmacista clinico nella gestione dell’epilessia:
punto di riferimento per il paziente e punto di forza dei gruppi multidisciplinari

Giulio De Vivo,1 Erica Magni,2 Gaetana Muserra,3 Vincenzo Lolli,4 Paola Pennetta,5 Edoardo Calzavara,1 Sara Nobili,1 Valeria Senatori,6 Maria Chiara Campanardi1

1UOC Farmacia Fatebenefratelli ASST Fatebenefratelli Sacco (Milano)
2ASP Istituti Milanesi Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio (Milano)
3Farmacia Casa di Cura La Madonnina (Milano)
4UOS Farmacia Ospedale S. Maria Regina degli Angeli (Adria)
5Farmacia Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti” (Foggia)
6Centro Regionale di FarmacoVigilanza ALISA della Regione Liguria (Genova)

INTRODUZIONE: IL FARMACISTA CLINICO E L’EPILESSIA

L’epilessia è una patologia neurologica di ampia diffusione che colpisce circa 50 milioni di persone in tutto il mondo,1 e si manifesta con crisi epilettiche, eventi provocati da una scarica elettrica anomala nella corteccia cerebrale; le conseguenze di tali crisi possono essere banali (e talvolta non percepite affatto) o tanto gravi da essere associate all’aumento del rischio di infortunio o morte. La malattia è peraltro spesso legata a disordini psichiatrici che coinvolgono il tono dell’umore, e la qualità della vita dei pazienti epilettici è compromessa non solo dalle frequenti crisi, ma anche dalla terapia polifarmaco cui sono sottoposti.2

Il trattamento dell’epilessia è infatti complesso e può prevedere diverse linee di intervento: l’impostazione di una terapia a base di farmaci antiepilettici (FAE), una dieta speciale, l’immunoterapia, le terapie comportamentali e la neurostimolazione. Per la sua efficacia, la farmacoterapia è la prima scelta di intervento nelle forme croniche della malattia e i FAE vengono prescritti dal medico da soli o in combinazione. È bene sottolineare che spesso un solo FAE non è sufficiente per controllare le crisi, quindi per la maggior parte dei pazienti si rende necessario impostare uno schema di terapia multi-farmaco. Come per tutti i pazienti in politerapia, anche per quelli epilettici lo schema terapeutico a base di più farmaci è causa di reazioni avverse e interazioni farmacologiche, soprattutto nei casi di comorbidità. Peraltro, tra i FAE più comunemente prescritti ci sono fenitoina, carbamazepina e acido valproico, che presentano delle farmacocinetiche complicate che potrebbero provocare alterazioni nell’assorbimento, nella distribuzione o nel metabolismo dei farmaci, con la possibilità che le concentrazioni plasmatiche varino sensibilmente tra un paziente e l’altro.2,3 Inoltre, la terapia a base di FAE si complica nei casi delle donne in gravidanza per i potenziali rischi di malformazione fetale e nel caso di pazienti portatori della variante allelica HLA-A*31:01, legata a reazioni di ipersensibilità o a reazioni cutanee gravi (es. sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi epidermica tossica) provocate dall’assunzione di carbamazepina.3 Si stima che il 70-80% dei pazienti adulti affetti da epilessia possa, seguendo adeguatamente un’appropriata farmacoterapia, restare libero da crisi;4 tuttavia, si stima che fino alla metà dei pazienti trattata con FAE sperimenti effetti avversi e che fino al 30% abbia una forma di malattia farmaco-resistente. In questo contesto, i farmacisti sono professionisti sanitari fondamentali nel counseling e nel monitoraggio dei pazienti perché immediatamente accessibili nelle farmacie di prossimità del territorio e in quelle ospedaliere; rappresentano inoltre l’ultimo filtro tra paziente e farmaco e hanno conoscenze approfondite sulla farmacoterapia, sull’educazione sanitaria e sulla gestione delle malattie croniche. Attraverso il monitoraggio farmacoterapeutico, i farmacisti possono intercettare l’insorgenza di problemi di salute e possono aiutare a prevenire la progressione di eventuali comorbidità.5,6,7

In letteratura è presente un basso numero di articoli che evidenziano il coinvolgimento dei farmacisti nella gestione dell’epilessia e, nonostante la debolezza di questi studi, i risultati hanno mostrato l’impatto positivo del ruolo clinico dei farmacisti: sono stati difatti inclusi miglioramenti nella conoscenza dei pazienti sulla patologia e nella loro qualità di vita (miglioramento dell’agilità nelle attività quotidiane e dell’aderenza alle terapie). Gli studi hanno dimostrato che la partecipazione dei farmacisti a un gruppo multidisciplinare può migliorare la salute dei pazienti con malattie croniche, come malattie cardiovascolari, ipertensione, diabete, asma, dislipidemia, e malattie renali. Inoltre, il contributo dei farmacisti è risultato centrale per garantire la compliance terapeutica nei bambini, che solitamente richiede un’assistenza professionale più serrata o il supporto dei caregiver. È stato peraltro riscontrato che i pazienti epilettici in generale sono curiosi di saperne di più sulla loro patologia e sui farmaci che devono assumere: i farmacisti costituiscono dunque una preziosa fonte di informazioni sia per i pazienti che per i medici prescrittori. Pertanto, dovrebbero conoscere in modo approfondito i vari aspetti del trattamento antiepilettico, comprese le interazioni farmacologiche e le possibili implicazioni dei FAE sulla salute delle donne, ed essere in grado di consigliare i pazienti.8

LA FORMAZIONE NELL’EPILESSIA: QUANTO È APPROFONDITA LA CONOSCENZA DEI FARMACISTI SULLA PATOLOGIA E SUI FAE?

Nello studio di Midlov et al., i farmacisti hanno valutato l’uso di farmaci, identificato problemi terapeutici e proposto modifiche alle prescrizioni a un gruppo di professionisti sanitari quando la farmacoterapia non era risultata appropriata; sono intervenuti nella consulenza farmaceutica e nel follow-up farmacoterapeutico, nonché nella misurazione e nella valutazione sistematiche dei risultati.9

Nello studio di Murphy et al., si è riportato che i farmacisti coinvolti nella revisione delle prescrizioni erano in grado di prevenire errori nel dosaggio e nella frequenza di somministrazione dei FAE ai pazienti.10 Chen et al., hanno pubblicato uno studio in cui è stata fornita una sessione di consulenza farmaceutica a pazienti e operatori sanitari: i farmacisti hanno riassunto le caratteristiche dei farmaci, discusso il razionale della farmacoterapia ed educato i pazienti all’assunzione dei FAE.11 Tutti questi scenari che testimoniano l’impatto positivo dell’intervento del farmacista dimostrano che la sua inclusione in un gruppo multidisciplinare di professionisti sanitari migliora la qualità della vita del paziente e la sua aderenza alla terapia farmacologica.

Tuttavia, al tempo stesso, secondo Fogg et al., è difficile trovare farmacisti che facciano attività sistematica di counseling nei pazienti epilettici: infatti, da un lato nella maggior parte del mondo i servizi clinici forniti dai farmacisti non sono retribuiti; dall’altro, lo studio avanza l’ipotesi che siano molto diffuse delle lacune su patologia e farmacoterapia che inibirebbero i farmacisti dal praticare l’attività di counseling.12

Da due studi condotti in Brasile è risultato che una ampia maggioranza dei farmacisti che lavorano nelle farmacie di prossimità hanno una conoscenza non adeguata a svolgere la distribuzione diretta di farmaci oncologici o di pillole anticoncezionali, né di supportare il paziente con il consiglio professionale. Reis M. T. et al suppongono che lo stesso valga anche per le conoscenze dei farmacisti sui FAE e sull’epilessia.6

Un altro studio ha poi rilevato significative lacune di conoscenze tra i farmacisti, compresi quelli che servono i pazienti epilettici: per esempio, sebbene il 92% degli intervistati sapesse che le donne in gravidanza dovrebbero comunque continuare la terapia antiepilettica, solo un quinto sapeva che l’acido valproico non dovrebbe essere loro dispensato per l’elevato rischio malformativo associato, e che persistono nelle donne rischi di disfunzione sessuale e possibili impatti dei FAE sulla loro composizione ossea. Inoltre, meno di un quinto dei farmacisti intervistati sapeva che si deve contattare il medico con urgenza nel caso in cui insorga un’eruzione cutanea in un paziente dopo l’assunzione di lamotrigina e, per concludere, solo circa il 30% era a conoscenza di un’interazione tra fenitoina e tacrolimus (riduzione dell’esposizione a tacrolimus e aumento dell’esposizione a fenitoina).

Per quello che riguarda la formazione dei farmacisti, la carenza di conoscenze aggiornate sull’epilessia e sui FAE potrebbe essere legata al fatto che trascorrano molti anni dalla laurea.

Le situazioni raccontate corroborano l’importanza di un’adeguata formazione dei farmacisti prima della laurea e del loro costante aggiornamento scientifico nel corso degli anni.6,7,8 A tal proposito è opportuno ragionare su una formazione continua ottimale che da un lato implementi le conoscenze, e dall’altro possa consentire al professionista di seguire correttamente il paziente epilettico. Chiaramente, devono essere pianificati interventi di formazione continua che comprendano diverse forme di apprendimento: seminari, corsi, workshop interattivi, sessioni pratiche e webinar.4,5,6

DEPRESCRIZIONE NELL’EPILESSIA

Di recente, facendo una semplice ricerca su PubMed si poteva ottenere un risultato sorprendente: impostando una query col termine “prescrizione” si ottenevano circa 45.000 risultati, mentre al contrario, il termine “deprescrizione” ne produceva solo 700. Ripetendo l’operazione per l’epilessia, si ottenevano dei risultati proporzionalmente simili: circa 400 risultati per “prescrizione” e meno di 10 per “deprescrizione”. Sebbene questa sia un’operazione semplicistica, aiuta a delineare i contorni di un tema cruciale: la spinta dei clinici nel controllo delle terapie è ampiamente sbilanciata verso la prescrizione di farmaci.

Se i FAE debbano essere sospesi o meno dopo che un paziente risulti libero da crisi da diversi anni, è una questione complicata cui difficilmente si può trovare una risposta per il fatto che la letteratura disponibile a riguardo non è particolarmente ricca. Alcuni studi suggeriscono che il rischio complessivo di recidiva delle crisi epilettiche si aggiri intorno al 30% nei casi in cui il trattamento venga interrotto. Ci sono dei fattori clinici associati a una maggiore o minore possibilità di successo della sospensione dei FAE che comprendono:

L’età di insorgenza dell’epilessia: il rischio di recidiva di crisi epilettiche in seguito alla sospensione del farmaco è maggiore negli adolescenti rispetto ai pazienti pediatrici. Questo elemento è il risultato della prognosi delle sindromi legate all’età. L’epilessia da assenza infantile e l’epilessia rolandica benigna hanno una buona prognosi dopo la sospensione dei FAE, mentre l’epilessia mioclonica giovanile ha un alto rischio di recidiva. Peraltro, l’epilessia non è inquadrabile in quanto tale come una singola patologia, ma comprende uno spettro di sindromi, ciascuna con una prognosi differente.

Frequenza delle crisi, tempi e uso di FAE: lo studio del Medical Research Council (MRC) del Regno Unito ha rilevato che un aumento del rischio di recidiva delle crisi è associato a:

una durata più breve del periodo libero da crisi prima dell’ingresso nello studio;

convulsioni dopo l’inizio del trattamento con FAE;

pazienti che assumevano più FAE al momento dell’ingresso nello studio.

Al tempo stesso, sono stati individuati alcuni fattori predittivi positivi significativi perché il paziente rimanga libero da crisi a 12 mesi dall’interruzione, come per esempio:

elettroencefalogramma (EEG) normale prima della sospensione del farmaco: ci sono prove limitate a sostegno dell’ipotesi che l’EEG possa essere predittivo di recidiva di crisi a seguito di sospensione dei FAE. In ogni caso, lo studio MRC ha rilevato che i pazienti con sole crisi tonico-cloniche e onde di picco generalizzate all’EEG avevano un tasso di recidiva più elevato;

tempo di libertà da crisi di più di due anni;

neuroimaging normale: sembra infatti probabile che i pazienti con una lesione epilettogena alla tomografia assiale computerizzata o alla risonanza magnetica cerebrale abbiano maggiori probabilità di recidive alla sospensione dei FAE;

convulsioni provocate: è molto probabile che le convulsioni provocate (come quelle che si verificano per un consumo eccessivo di alcol, per la privazione del sonno o per il consumo di sostanze stupefacenti di diversa natura) abbiano meno probabilità di ripresentarsi se questi fattori di rischio vengono azzerati;

funzioni intellettive nella norma;

assunzione di carbamazepina prima della sospensione della terapia: i pazienti in monoterapia con carbamazepina sarebbero meno suscettibili di ricadute dopo la sospensione della terapia rispetto all’interruzione del trattamento di pazienti con altri FAE;

certezza della diagnosi: occasionalmente i pazienti iniziano l’assunzione di un FAE sebbene sussista qualche dubbio sulla diagnosi di epilessia: in questi pazienti la deprescrizione del farmaco è un’opzione ragionevole.

Se il medico, anche sulla base del monitoraggio effettuato dal farmacista clinico, decidesse di deprescrivere i FAE, questi dovrebbero essere sospesi gradualmente e se possibile nell’arco di diversi mesi. Infatti, la rapida sospensione, in particolare di barbiturici e benzodiazepine, potrebbe provocare l’onset improvviso di convulsioni. Un valido protocollo di sospensione per gli adulti, proposto nello studio MRC, prevede la riduzione delle dosi ogni quattro settimane. Nei pazienti che assumono più FAE in contemporanea, la loro sospensione dovrebbe essere sequenziale.

Inoltre, nell’ottica di prendere in considerazione la deprescrizione è comunque bene agire con una certa cautela: infatti, la morte improvvisa inaspettata nell’epilessia (SUDEP) è un evento estremamente serio: uno studio del 2020 ha suggerito che i pazienti epilettici non trattati farmacologicamente fossero associati a probabilità maggiori di SUDEP da 2 volte a 3 volte. Al tempo stesso, va pur considerato che la libertà da crisi è risultata correlata a una probabilità ridotta addirittura di 27 volte di andare incontro a SUDEP.

Le raccomandazioni in essere prevedono che il trattamento antiepilettico possa essere interrotto dopo un periodo minimo di due anni liberi da crisi: l’interruzione della terapia dopo un periodo più breve è scoraggiato perché sussiste un rischio maggiore di ricaduta.13,14,15

Nella pratica clinica quali sono i punti chiave che medici e farmacisti clinici devono considerare per promuovere la deprescrizione nel paziente epilettico?

1. La previsione del rischio: uno dei punti più delicati della deprescrizione è la reazione del paziente epilettico alla proposta di interrompere la terapia dei FAE. Sebbene i pazienti con epilessia possano avere prestazioni cognitive e una qualità della vita migliori dopo la sospensione della terapia, si tiene comunque conto di un aumentato rischio di recidiva. Addirittura, pur di non essere più suscettibili alle crisi recidive, molti pazienti decidono di sopportare gli effetti collaterali dei FAE piuttosto che sospendere completamente la terapia in essere. In questo scenario, c’è urgente necessità di strumenti decisionali efficaci e pratici per aiutare i clinici a stabilire l’eventuale sospensione dei FAE, nonché per aiutare a realizzare un trattamento preciso e personalizzato per ciascun paziente. Fino a poco tempo fa, la consulenza del clinico al paziente sul rischio di ricaduta si basava fondamentalmente su dati mediati da studi statistici. Attualmente, invece, sono in studio degli algoritmi di apprendimento automatico (MLA) che possono integrare più parametri clinici o non clinici (per es. il rilevamento automatizzato delle crisi, l’analisi dell’imaging e dei dati clinici, la localizzazione dell’epilessia e la predizione di esiti medici o chirurgici) in un certo arco di tempo per calcolare le probabilità di esiti diagnostici e la prognosi della malattia. Questi modelli possono stratificare il rischio del paziente per supportare il processo decisionale del clinico e migliorare la prognosi e la qualità dell’assistenza per i pazienti. In generale, dai primi studi presenti in letteratura, la tecnica di apprendimento automatico degli MLA è risultata superiore alla valutazione clinica da parte di esperti neurologi ed epilettologi, grazie alla sua maggiore accuratezza nella diagnosi e nella previsione dei risultati.15,16,17 A questo proposito è paradigmatico lo studio di Devinsky et al. svolto presso il New York University Medical Center che ha indagato la fattibilità dell’applicazione dell’MLA per implementare un algoritmo per la prescrizione dei FAE. Nello studio sono stati arruolati retrospettivamente circa 50.000 pazienti epilettici che sono poi stati divisi casualmente in due gruppi: uno di 40.000 pazienti e un gruppo test di 10.000 pazienti. Per implementare il modello predittivo desiderato sono state ricavate tra i dati dei numerosi pazienti circa 5.000 informazioni cliniche. I pazienti con il regime di FAE previsto dall’algoritmo avevano tassi di sopravvivenza significativamente più elevati e un utilizzo previsto delle risorse sanitarie inferiore in media rispetto a quelli che hanno ricevuto un altro trattamento. Sono state poi rilevate notevoli discrepanze nella frequenza di utilizzo di alcuni FAE o le loro combinazioni tra gli schemi terapeutici previsti dal modello e gli schemi effettivamente prescritti. Purtroppo, solo il 13% degli schemi di trattamento a base di FAE effettivamente prescritti corrispondeva al regime scelto dal modello.18 Dalle conclusioni dello studio è emerso chiaramente che le possibilità di successo del trattamento aumentavano se i pazienti ricevevano il trattamento previsto dal modello.

Ecco che l’adozione del sistema di previsione potrebbe consentire da un lato un trattamento ad hoc per il paziente peraltro basato sull’evidenza, e dall’altro offrire dei risultati clinici significativamente migliori per i pazienti garantendo il contenimento della spesa sanitaria e ottimizzando l’utilizzo delle risorse a disposizione.

2. La compliance e le preferenze del paziente: è noto che, se anche il medico e il farmacista clinico hanno raggiunto nella valutazione multidisciplinare una perfetta previsione del rischio, il processo decisionale deve comunque tenere conto della compliance e delle preferenze del paziente. Le linee guida in essere riportano che la decisione di interrompere il trattamento antiepilettico dovrebbe considerare le implicazioni per il paziente da un punto di vista personale e sociale che una recidiva convulsiva o che il proseguimento di una terapia cronica a base di FAE potrebbero avere. Quella della deprescrizione non è mai una decisione semplice anche perché spesso i pazienti tendono a sottovalutare il loro rischio di ricaduta. Per esempio, alcuni pazienti potrebbero voler interrompere il trattamento perché i FAE sono comunemente associati a degli effetti avversi che possono compromettere la qualità della vita (per es. sonnolenza, nausea e vomito, astenia, mal di testa, stato di agitazione e nervosismo, tremore incontrollabile, alopecia o irsutismo, ipertrofia gengivale). Anche il rischio di teratogenicità nelle donne in età fertile può indurre la sospensione del farmaco prima di quanto potrebbe verificarsi, ma il rischio di convulsioni ricorrenti in gravidanza deve essere bilanciato rispetto al possibile danno della prosecuzione del trattamento. Altri problemi includono le interazioni con altri farmaci, ad esempio l’interazione tra la carbamazepina (potente induttore degli enzimi epatici) e la pillola contraccettiva orale. Per alcuni pazienti, peraltro, l’abitudine di dover assumere quotidianamente i FAE costituisce un costante promemoria della loro patologia cronica e dunque ha un impatto negativo sul loro benessere psicologico.

È opportuno quindi mettere a punto delle strategie comunicative ottimali che possano rendere consapevole il paziente della sua situazione senza al tempo stesso spaventarlo eccessivamente: i pazienti devono essere preparati al fatto che non ci sono garanzie che rimarranno sempre liberi dalle crisi epilettiche. Il rischio di ricaduta è sicuramente maggiore nei primi 12 mesi dall’interruzione, seppur graduale, della terapia. Sarebbe opportuno a tal proposito che il paziente non si metta alla guida di mezzi motorizzati per l’intero periodo di sospensione e per i tre mesi successivi. Il medico e il farmacista, nelle attività di counseling, dovrebbero ribadire dei consigli di natura precauzionale come quelli di non nuotare da soli e di preferire per l’igiene personale la doccia al bagno nella vasca.15,16

3. Implementazione della ricerca clinica: la letteratura disponibile non riporta attualmente quanto sia diffusa la deprescrizione in epilessia o quanto se ne stia eventualmente abusando per sottovalutazione del rischio. In questo senso, sarebbe auspicabile una collaborazione su ampia scala tra i farmacisti clinici e gli altri operatori sanitari per raccogliere dei dati significativi a riguardo.13-18

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