Covid & HIV: efficacia nei trattamenti, sfide ed opportunità

Irene Sottile

Farmacia Ospedaliera Az. USL Toscana Sud Est - sede di Grosseto

Socio SIFO Regione Toscana

Parole chiave: Collaborazione, Registri AIFA, Covid, HIV, Long-acting therapy, PrEP.

Dal 27 al 30 ottobre 2022 si è tenuto a Bologna il XLIII Congresso Nazionale SIFO dal titolo “Clinica, Etica, Managerialità - costruiamo insieme la salute di domani”, occasione anche per ricordare il 70° anniversario dalla fondazione della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle Aziende Sanitarie.

Nel pomeriggio di venerdì 28 ottobre si è svolta una focus session, mediata dalle dott.sse Francesca Vivaldi (Farmacia Ospedaliera Azienda USL Toscana Nord-Ovest, Pontedera PI) e Sabrina Beltramini (SOD Farmaceutica Ospedaliera San Martino Genova), che ha posto in un’interessante relazione i due virus delle pandemie più recenti, intitolata: “Covid & HIV: efficacia nei trattamenti, sfide ed opportunità”.

Come ha sottolineato la dott.ssa Vivaldi, HIV e Sars-CoV-2 al 2022 contano rispettivamente quasi 38 milioni di contagiati e centinaia di milioni di positivi e, come fa notare la dott.ssa Beltramini, sono sì due virus diversi (uno, il Coronavirus, con esordio acuto, l’altro che ormai potremmo definire cronico), ma che hanno in comune il ruolo del farmacista attraverso la governance, che comprende: il controllo dell’appropriatezza prescrittiva e dell’aspetto regolatorio, la garanzia di approvvigionamento del farmaco soprattutto negli studi sperimentali, la sorveglianza della compliance del paziente e infine la capacità di confrontarsi con i diversi clinici, gli amministrativi ed i pazienti stessi.

Veniva poi passata la parola al primo relatore, il dott. Pierluigi Russo (Dirigente Ufficio Registri di monitoraggio AIFA), che innanzitutto mette in evidenza la struttura gerarchica di un registro, che permette una catena di responsabilità rispetto all’utilizzo del medicinale soggetto a monitoraggio che ha inizio da AIFA, che definisce il setting in cui può essere utilizzato, finisce con i medici e i farmacisti autorizzati ad accedere alla piattaforma, attuando l’effettivo processo di monitoraggio clinico, e passa attraverso le Regioni, i Centri Prescrittori e i Direttori Sanitari.

I registri di monitoraggio, spiega il dott. Russo, sono uno strumento amministrativo che permette di controllare la dispensazione da parte delle Aziende Sanitarie di farmaci innovativi e/o ad alto costo e si frappongono tra l’autorizzazione centralizzata alla rimborsabilità concessa da EMA (che un tempo avrebbe portato all’automatica categorizzazione in fascia A per quel determinato farmaco) e l’indicazione al rimborso approvata da AIFA, andando a configurare un setting ben delineato e rendendo gli usi non presenti degli “off label” della rimborsabilità, prendendo in prestito il termine. Va inoltre ricordato che il registro non nasce solo per decisione di una commissione tecnico-scientifica, ma il dossier viene fatto valutare anche dall’azienda produttrice del farmaco e solamente quando viene raggiunto un accordo tra le parti nasce il vero e proprio Registro di monitoraggio.

Rispettare i criteri di eleggibilità e le indicazioni di un registro è dovere di tutti e quando alcuni mesi fa sono state rilevate potenziali interpretazioni non appropriate rispetto al significato regolatorio e legale dei registri, il dott. Russo, il 13 maggio 2022, si è trovato costretto a emettere un comunicato in cui si evidenzia che «chi non riporta fedelmente quanto avvenuto nel percorso di cura del paziente in relazione al medicinale oggetto di monitoraggio, omette la compilazione del registro, o lo compila in assenza di una effettiva dispensazione del farmaco, è in grado di determinare in capo al responsabile conseguenze di ordine amministrativo e penale, oltre che deontologico».

Nella seconda metà della relazione, il relatore è entrato in argomento Covid-19 raccontando di come l’impossibilità di utilizzare il cartaceo (per tempistiche, mole e distribuzione) per la dispensazione di remdesivir abbia ispirato l’idea di un utilizzo “improprio” di una piattaforma complessa come quella dei registri di monitoraggio per cercare di inseguire una pandemia costantemente in mutazione sotto ogni aspetto.

I dati della dispensazione dei farmaci anti-COVID-19 venivano scaricati ogni settimana alle 5 del mattino, analizzati dagli statisti dell’ufficio registri dalle 8 alle 14,30 circa e discussi alle 14,30 nella periodica riunione di coordinamento con tutti i referenti regionali, cercando di individuare in che direzione stesse andando l’incremento di consumo dei farmaci e di indicare in anticipo al Ministero della salute e alla Task Force dove e come distribuire il farmaco nella settimana successiva. L’acquisto del remdesivir era infatti centralizzato e la sua distribuzione sul territorio non poteva basarsi sul mero criterio pro capite, poiché in caso di mancanza non poteva essere acquistato in quantità maggiore essendo altamente richiesto in tutto il mondo; ecco quindi che la capacità degli statisti di prevedere con una settimana di anticipo la curva di andamento della pandemia ha permesso di distribuire il remdesivir in anticipo nelle zone che ne avrebbero avuto necessità rendendolo disponibile all’utilizzo nelle fasi precoci della malattia, quando è più efficace.

Questi dati sono stati inoltre utilizzati per ottenere dati sulla real-world effectiveness dei farmaci, confermando di fatto che l’investimento dello stato di 2 miliardi di euro per il loro acquisto era fondato: una settimana prima che l’EMA dichiarasse efficace il remdesivir nel trattamento precoce del Covid attraverso un proprio studio, l’Ufficio dei registri, grazie ai dati raccolti e analizzati, ne aveva già dimostrato l’efficacia di tale utilizzo in Italia in uno studio indipendente.

Il dott. Russo ha quindi tratto le conclusioni di questa esperienza, evidenziando come un coordinamento e una collaborazione nazionale siano stati fondamentali e abbiano permesso una distribuzione degli acquisti centralizzati verso le diverse regioni in funzione dell’andamento della pandemia, una gestione precoce delle carenze a fronte della ridistribuzione da regioni con giacenze superiori al ritmo del trattamento e anche una ridistribuzione delle giacenze di prodotti in fase di scadenza di validità (essendo farmaci nuovi, non hanno studi di stabilità che permettano lunghe scadenze). Si sono prodotti 82 report pubblici, 141 report dettagliati diretti al coordinamento MdS-AIFA-Regioni e importanti dati sulla real-world effectiveness dei medicinali utilizzati

La dott.ssa Vivaldi ha presentato quindi la prof.ssa Cristina Mussini (Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena), successiva relatrice della sessione, che ha aperto con una nota fuori programma riguardo al parere negativo di AIFA durante la pandemia di utilizzare e prescrivere il tocilizumab, su cui la professoressa dissentiva profondamente, ma trovando il dott. Russo concorde con lei.

Ha iniziato poi la propria relazione con un excursus sui cambiamenti più recenti e rivoluzionari della storia dell’HIV: dal 2008, grazie agli svizzeri, si è a conoscenza che una persona con carica virale soppressa nel sangue non ha la capacità di attaccare l’HIV attraverso rapporti sessuali non protetti; nel 2011 è stato coniato lo slogan U=U “Undetectable = Untransmittable”; e infine si è arrivati a stabilire che una donna con carica virale soppressa può anche partorire per via vaginale. Tutti concetti a dir poco rivoluzionari soprattutto per le persone, anche lavoratori in ambito sanitario, che hanno vissuto la forte propaganda anti-HIV degli anni ’80 in cui si incuteva il terrore anche solo di toccare una persona sieropositiva. Secondo i dati raccolti dalla Fondazione Icona (Italian Cohort Naive Antiretroviral) i nuovi farmaci anti-HIV hanno permesso negli ultimi anni una soppressione della carica virale in più del 90% dei malati e si è registrata una riduzione del numero di nuovi casi ogni anno, dovuta appunto all’impossibilità da parte delle persone malate di trasmettere il virus. Questa riduzione potrebbe essere resa ancora più drastica, evidenzia la professoressa, rendendo gratuita la PrEP (Pre-Exposure Prophylaxis), un trattamento pre-esposizione con un’efficacia protettiva contro l’infezione intorno al 97% e al momento non rimborsabile dal SSN solamente in Italia e Ungheria. La terapia è composta da un solo farmaco, il Truvada® (emtricitabina e tenofovir disoproxil), adesso presente sul mercato anche come medicinale equivalente, e attualmente esistono due principali modalità di assunzione della PrEP: quotidiana (ongoing), che consiste nell’assunzione di una compressa al giorno, e intermittente (on demand) che consiste nell’assunzione di due compresse da 2 a 24 ore prima del rapporto sessuale, seguite da un’altra compressa 24 e 48 ore dopo il rapporto. Istituire una rimborsabilità per tale profilassi sarebbe d’uopo sotto vari aspetti:

una convenienza farmacoeconomica, poiché il costo mensile di circa 70 euro di una confezione di emtricitabina e tenofovir disoproxil è sicuramente inferiore a un trattamento anti-HIV che dura per tutta la vita (e ricordiamo che fortunatamente adesso i malati di HIV hanno un’aspettativa di vita paragonabili alle persone non contagiate); inoltre, l’assunzione di una terapia del genere di solito si concentra in un certo periodo di vita di una persona, ad esempio praticando il ChemSex, una pratica sessuale estremamente disinibente all’interno della comunità BDSM che prevede l’utilizzo di varie sostanze d’abuso e li espone a un rischio molto alto di acquisire l’HIV;

una correttezza deontologica, non facendo pagare al paziente un trattamento importante per la propria salute. Il sanitario non deve fare un processo alle intenzioni del paziente, così come non viene giudicato un fumatore, ma dovrebbe poter garantire il miglior trattamento possibile. Inoltre, il rischio che un paziente ricerchi il farmaco su internet per risparmiare è fortemente e drammaticamente reale.

Insomma, prosegue la prof.ssa Mussini, i trattamenti per l’HIV hanno sempre aperto la strada dell’innovazione tecnologica e ancora lo stanno facendo: siamo passati dalle monoterapie alle biterapie che portavano a resistenze, fino alle terapie attuali che prevedono l’assunzione di una sola compressa al giorno, un trattamento paragonabile come complessità a quello per l’ipertensione, ad esempio, e che non solo aumenta la compliance del paziente, ma che sopprime la carica virale anche con un’aderenza del 70% contro il 90% delle terapie precedenti.

Tuttavia si può puntare ancora più alto con le nuove long-acting therapies, supportate dagli studi ATLAS-2M e CUSTOMIZE: in alcune regioni come l’Emilia-Romagna, è possibile effettuare due iniezioni (cabotegravir e rilpivirina) a livello ospedaliero con cadenza bimestrale e mantenere la soppressione della carica virale nel sangue. I pazienti selezionati per i trial hanno manifestato un forte apprezzamento per la soluzione, che permette di togliere parte dello stigma sociale e anche di non avere in casa propria i farmaci che a volte vengono nascosti anche ai propri conviventi. I dubbi più grossi su questo tipo di trattamento erano legati soprattutto agli operatori sanitari e alla gestione dell’operazione: uno dei due farmaci ha una catena del freddo e sono necessari circa 25 minuti per paziente tra preparazione e iniezioni, tempistiche che possono essere importanti in caso di un alto numero di pazienti e che necessitano di una riorganizzazione rispetto al rapido prelievo ematico di controllo con cadenza semestrale; tuttavia gli studi hanno confermato anche una rassicurazione del percorso da parte degli operatori sanitari.

Esistono sicuramente fattori di rischio per il fallimento delle terapie long-acting, ma devono essere presenti in quantità superiori a due per essere rilevanti. I più importanti sono un BMI>30, resistenze note ai farmaci utilizzati (soprattutto rilpivirina che è a più bassa barriera genetica), mutazioni del gene A6/A1 (presenti soprattutto nell’Est Europa) e il sesso femminile (rilevante negli studi americani a causa dell’estrazione sociale della maggior parte delle donne selezionate).

Anche se le terapie long-acting sono andate avanti con facilità durante il Covid, ad esempio presso l’Ospedale Luigi Sacco a Milano, che seguiva circa 80 pazienti, la professoressa vorrebbe prossimamente proporre, considerato l’affollamento degli ospedali italiani (con la capacità di circa 3 posti letto ogni 1.000 abitanti), di spostare le somministrazioni, dopo le prime volte in ospedale, nelle Case della Salute sul territorio, che hanno migliori orari di apertura al pubblico e che permetterebbe una delocalizzazione dei pazienti.

La terapia long-acting con cabotegravir e rilpivirina è la rivoluzione che fu anni fa la zidovudina, commenta la prof.ssa Mussini, e la speranza è di arrivare a iniezioni ogni 6 mesi se non a impianti ancora più duraturi, con uno sforzo organizzativo a carico degli operatori sanitari e trovando possibilmente farmaci con barriere genetiche più alte e maggiore durata d’azione.

La professoressa conclude quindi la propria sessione riassumendo:

la farmacologia antiretrovirale è uno dei più grandi successi della Farmacopea Internazionale, è in continua evoluzione e ha portato al progresso di tantissime altre terapie, ad esempio per le infezioni opportunistiche per i trapiantati, contro l’HBV, l’HCV e anche il COVID-19;

il futuro della terapia anti-HIV è long-acting, adesso agli albori;

si dovrà puntare sì alla soppressione della carica virale nel paziente contagiato, ma anche alla protezione dei soggetti a rischio con la rimborsabilità della terapia PrEP.

La dott.ssa Beltramini ha passato quindi la parola alla terza e ultima relatrice, la dott.ssa Marica Macrina (UOC Farmacia Azienda Ospedaliero-Universitaria Ferrara), che ha raccontato la propria esperienza durante uno studio retrospettivo tra l’aderenza alla terapia HAART e possibili variazioni della soppressione della carica virale nel sangue.

I criteri di inclusione nello studio hanno richiesto che i pazienti fossero virologicamente soppressi all’inizio del periodo di osservazione e che avessero ricevuto almeno 2 erogazioni di terapia nel periodo precedente allo studio stesso; il campione selezionato è risultato quindi composto da 327 pazienti. L’aderenza alla terapia è stata valutata secondo la “proporzione di giorni coperti”: il programma di Erogazione Diretta ha permesso di calcolare la data di erogazione prevista (inserendo posologia, quantità erogata e data di erogazione effettiva), quest’ultima è stata poi confrontata con la data di effettiva erogazione e il risultato ottenuto, proporzionato alla durata prevista della terapia, ha reso possibile calcolare l’aderenza alla terapia, anche in formato percentuale

Aderenza % = (n° di giorni coperti dalla terapia/periodo di terapia prevista) x100.

I risultati ottenuti sono stati:

68% con aderenza ottimale > del 95%;

21% con aderenza tra 81-94%;

6% con aderenza tra 60 e 80%;

solo il 5% con aderenza bassa, ovvero inferiore del 60%.

Nei pazienti selezionati è stata anche misurata la carica virale ematica, considerata soppressa se <20 copie/ml. Eventuali pazienti che fossero risultati con una carica maggiore per due analisi successive, sarebbero stati inseriti in una sottopopolazione di pazienti non soppressi.

In questo caso i risultati hanno mostrato che:

88% non ha mai avuto carica rilevabile;

9% ha avuto una carica rilevabile;

2% ha avuto due cariche rilevabili;

1% ha avuto tre cariche rilevabili;

solamente un paziente (0%) ha avuto per 5 volte la carica rilevabile.

Inoltre, nella fascia di aderenza sotto il 60% è stato rilevato il maggior numero di cariche virali rilevabili, ma, comunque, all’interno di questa sottopopolazione il 71% non ha mai avuto cariche rilevabili, il 24% solamente una volta e il 6% due volte.

I pazienti non soppressi sono stati appena il 2% del campione e di questi pazienti è stata analizzata l’aderenza volta per volta, rilevando che a ogni picco di carica virale corrispondeva un precedente calo di aderenza, ad esempio a causa del ritiro in ritardo del farmaco, e, non appena si tornava ad assumerlo regolarmente, la carica virale tornava in soppressione.

In conclusione:

la maggior parte dei pazienti ha un’aderenza ottimale, raggiunge la soppressione virale e la mantiene per tutto il periodo;

i pazienti con un’aderenza <60% hanno avuto un numero di cariche virali rilevabili superiore alle altre fasce di aderenza;

la valutazione puntuale dell’aderenza mostra che esiste una relazione molto stretta tra l’aderenza e la carica virale, in quanto ogni rimbalzo virale è preceduto da un calo dell’aderenza stessa.

Al fine di raggiungere il goal terapeutico, conclude la dott.ssa Macrina, risulta quindi di fondamentale importanza il supporto del farmacista nell’ambito del counselling, per promuovere l’aderenza attraverso l’empowerment del paziente e la collaborazione con il clinico.

A fine della relazione della dott.ssa Macrina, si è proceduto alla discussione tra tutti gli interlocutori della sessione.

La dott.ssa Vivaldi ha chiesto alla prof.ssa Mussini come immagina tra 10 anni il futuro del trattamento anti-HIV e se la terapia long-acting rischia di essere un privilegio di nicchia: la professoressa auspica di arrivare ad avere le conoscenze per una cura funzionale che eradichi il virus HIV, tuttavia, se non fosse ancora possibile, si augura che, come le aziende hanno investito in trattamenti long-acting e impianti farmacologici per terapie antidiabetiche e anticoncezionali, lo facciano anche per i trattamenti anti-HIV.

La dott.ssa Beltramini, nella sua qualifica di farmacista, ha chiesto al dott. Russo se fosse possibile snellire le operazioni nella piattaforma dei registri di monitoraggio AIFA e rendere i farmacisti meno ciechi all’interno della stessa; il dottore ha risposto che i problemi saranno in buona parte risolti dalla nuova piattaforma in arrivo, poiché le attuali difficoltà sono dovute a un’obsolescenza tecnologica causata dalla progettazione nel lontano 2013.

In uno scambio di opinioni con la prof.ssa Mussini, il dott. Russo ha poi messo in chiaro come non debba essere assolutamente convinto dei vantaggi della rimborsabilità della terapia PrEP e che, sebbene quando uscì il dossier del Truvada® in Italia non sarebbe stata sostenibile una rimborsabilità a causa del costo e della presenza di altre criticità come i nuovi farmaci contro l’HCV, adesso potrebbe essere il momento per riesaminarlo.

In conclusione di tutta la sessione e soprattutto della discussione finale, la dottoressa Vivaldi dichiara, giustamente, che il dialogo costruttivo tra figure istituzionali e cliniche è l’unica base su cui si può costruire in ogni ambito, che sia Covid, HIV, infettivologia o altro ancora, e che il farmacista è una figura strategica di questo e tanti altri contesti grazie alla sua multiprofessionalità, che lo rende un collegamento insostituibile tra il clinico, l’amministrativo e, non ultimo, il paziente.