Farmacia Narrativa e COVID19:
studi di “qualità” con i farmacisti del SSN

Daniela Scala,1 Alessia Pisterna,2 Maria Ernestina Faggiano3

1Farmacista Dirigente I Livello AOU “Cardarelli” Napoli
2Responsabile Farmacia Ospedaliera AOU Maggiore della Carità di Novara
3Farmacista Dirigente I livello AOU Policlinico di Bari

Tutor di sessione: Maria Ernestina Faggiano

L’attività di ricerca ha diverse sfaccettature e peculiarità, atte a produrre dati quali-quantitativi scientificamente validi, che, interpretati in maniera integrata, possono migliorare i percorsi di cura sia visti dalla parte del paziente sia visti dalla prospettiva del professionista della salute. In particolare, nei momenti di maggiore difficoltà il professionista sanitario che ha la possibilità di esprimersi attraverso il racconto, può dare senso e significato a eventi inattesi, traumatici e caotici come quello di una pandemia e rielaborare la propria identità. Ciò accade anche al farmacista del SSN, il quale in situazioni di grandi emergenze, come quella vissuta durante il periodo della massima allerta COVID19, per la centralità del ruolo ricoperto in seno all’organizzazione ospedaliera e territoriale, ha dovuto mantenere posizioni ferme ed equilibrio nonostante emozioni e pensieri contrastanti lo abbiano accompagnato nella quotidianità. La metodologia della narrazione, che naturalmente sfocia nella ricerca qualitativa, è stato un mezzo per comprendere quali sforzi adattativi il farmacista del SSN sta compiendo, riscoprendo attività, forse sopite, quali la galenica tradizionale, ma è anche un mezzo per dare valore all’immensa mole di dati che si stanno producendo. Infatti, se non si ascolta per far narrare e narrarci, con postura dedicata, anche la valutazione del dato può essere meno incisiva e sicuramente monca, in quanto, applicando rigore metodologico, la narrazione lega lo studio qualitativo con quello quantitativo. L’obiettivo della sessione parallela del XLI Congresso Nazionale dal titolo “Farmacia Narrativa e COVID19: studi di “qualità” con i farmacisti del SSN” è stato proprio quello di fornire le basi concettuali per la costruzione di ricerche qualitative per superare situazioni di stress lavorativo e di gravi difficoltà con la metodologia narrativa la cui finalità è la consapevolezza, la conoscenza e la cura di sé, in una prospettiva auto educativa e trasformativa.

L’inquadramento della sessione è avvenuto ad opera dei due moderatori, Faggiano e Pisterna, che hanno evidenziato come la farmacia narrativa possa diventare una risorsa nella misura in cui riesce a creare una postura di ascolto e di comprensione, ma anche di esternazione dei propri vissuti professionali in tema di salute, interfacciandosi con pazienti e colleghi. La farmacia narrativa invita, infatti, i farmacisti alla creatività interiore, ad attingere a questa risorsa per far ritrovare il senso del lavoro di cura attraverso la cura della professione e la conoscenza dei pazienti che si narrano e vivono la loro malattia con i farmaci.

Il primo relatore, Stefania Polvani, Presidente della Società Italiana di Medicina Narrativa (SiMeN), nel ricordare il documento di Consensus dell’Istituto Superiore di Sanità sulla Medicina Narrativa del giugno 2014, cita il decalogo per la comunicazione medico-paziente, capace di produrre evidenze statisticamente significative, come già accaduto in uno studio caso controllo effettuato con 149 pazienti in alcuni ambulatori cardiologici toscani. Polvani ha considerato tre punti:

1. Il perché della Medicina/Farmacia Narrativa;

2. La metodologia Narrativa;

3. La narrazione al servizio del farmacista o il farmacista al servizio della narrazione.

Il primo punto è stato sviluppato a partire dal fatto che, essendo la narrazione multidimensionale per i professionisti che la promuovono, mette in collegamento tutti coloro che sono intorno ad un tavolo sanitario anche in un periodo in cui tecnologie e terapie d’avanguardia riescono a raggiungere esiti importanti; il paziente e i professionisti della salute non possono, però, prescindere dall’umanizzare i percorsi di cura che fanno bene ad entrambi. Ciò può essere fatto attraverso l’ascolto, ma lo strumento principe della narrazione resta sempre la scrittura. La metodologia delle narrazioni (secondo punto), dunque, presuppone che, per poter scrivere, dapprima si impari ad ascoltare sia il curato sia il curante per raccogliere indicazioni anche da piccoli segmenti di storia di malattia che ne migliorino il percorso. Quindi, la medicina narrativa può raffinare e completare la comprensione degli studi clinici, che devono restare sempre la strada che il professionista clinico deve seguire; l’ascolto, dunque, può essere funzionale alla cura. Nello sviluppare il terzo punto, Stefania Polvani ha dichiarato che, a suo parere, il farmacista è al servizio della narrazione per quel suo essere collettore tra professionisti, storie e pazienti ed aiuta a comprendere la cura appropriata. SIFO è “complice” di SiMeN nel progetto R-Esistere in tempo di COVID19, che ha generato storie che evidenziano quanto le narrazioni sostengono la cura ed il curante mostrando il potere dell’ascolto attivo nell’entrare all’interno delle aree critiche, l’utilità della donazione di narrazioni utili a fare crescere gli altri e il collante tra più “racconti” che indicano direzioni precise, cioè lettura reale dei dati.

Dopo la presidente della SIMeN, Maria Giulia Marini, Direttore scientifico e dell’innovazione Area Sanità e Salute ISTUD, ha portato il suo contributo relativo all’uso delle narrazioni nella ricerca qualitativa. Partendo dalla definizione di Medicina Narrativa (di Greenhalgh e Hurwitz, Narrative based medicine in an evidence-based world, BMJ 1999) come “quello che succede tra il professionista sanitario e il paziente: dalla raccolta delle informazioni su eventi prima della malattia a come la malattia si è manifestata, facendo attenzione ai risvolti psicologici, sociali, e esistenziali” ribadisce la complementarietà dell’approccio “scientifico-quantitiativo” evidence-based e quello “scientifico-qualitativo” narrative-based. A supporto di ciò Maria Giulia Marini, ci ricorda che in inglese, esistono tre parole per definire la malattia: disease, illness e sickness. Tutti questi termini “significano” la malattia, ma sono stati assunti dall’antropologia medica anglosassone per definire tre diverse dimensioni della malattia:

Disease è l’aspetto riguardante la meccanica della malattia, lo svolgimento causale e gli effetti delle cure legandosi principalmente alla funzionalità del sistema “corpo”.

Illness riguarda la percezione cosciente o inconsapevole che il soggetto ha della malattia, come ci convive, rendendo quindi il paziente da oggetto di malattia a soggetto che sente e che pensa la malattia.

Sickness è il concetto di malattia dal punto di vista socio-culturale. Tale percezione può influenzare le reazioni della persona malata, soprattutto nel caso delle malattie croniche e mentali.

La medicina narrativa integra la dimensione del disease; in questo modo la riposta al curato del curante tiene conto di tutte e tre le dimensioni della malattia. La ricerca qualitativa, attraverso la narrazione, ha il vantaggio di produrre una ricca quantità di dettagli che non è facile ottenere attraverso il metodo quantitativo, quali emozioni, opinioni, esperienze e prospettive dei partecipanti, attraverso l’interpretazione delle loro azioni in significati; è ottima per il confronto fra diverse prospettive di un medesimo fenomeno, come l’indagine del percepito, del vissuto di malattia da parte non solo della persona che soffre per quella determinata patologia, ma anche del medico curante, dei familiari, o di eventuali caregiver. La Medicina Narrativa in questo frangente, può essere dunque un valido strumento per aggiungere significato, dettagli e ampliare l’orizzonte d’indagine medico-scientifica su temi di difficile esplorazione quantitativa quali il vissuto di malattia, con focus sugli aspetti emotivi e relazionali, oppure la relazione di cura, con maggiore focus sul contesto culturale e sociale. A tal proposito la Marini cita il 49° report dell’Health Evidence Network (HEN), il supporto informativo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rivolto a chi prende decisioni di politica sanitaria in Europa nell’area OMS, che raccoglie le evidenze su come la ricerca narrativa possa essere utilizzata efficacemente nello studio dei contesti culturali della salute in Europa. Maria Giulia Marini sottolinea il ruolo della narrativa nell’ambito della sanità, in particolare, nella comunicazione dei decisori politici e con i cittadini. In particolare, prende in esame alcuni casi di studio che mostrano come la narrativa possa esprimere in modo più efficace le esperienze dei malati e rendere più efficace la comunicazione dei dati epidemiologici o di salute pubblica. Per coloro su cui grava il peso delle decisioni politiche, comunicare con le comunità le proprie scelte, i piani di intervento e il contesto nel quale vengono prese le decisioni è molto importante, se non fondamentale. Lo studio degli aspetti culturali fa parte dell’ampio programma dell’OMS “Salute 2020”, nato per supportare l’azione dei governi europei nel migliorare  la salute e il benessere della popolazione, sviluppando sistemi sanitari centrati sul paziente. Ma quali sono le tipologie di ricerca qualitativa? Sono i tradizionali casi studio clinici, riflessioni del professionista su un reale caso clinico (raccontato dalla prospettiva del curante); o i racconti individuali di malattia, raccolti attraverso interviste qualitative; o si ampliano includendo i casi studio narrati di un’organizzazione sanitaria o di un sistema che costituisce il contesto istituzionale dell’esperienza individuale della malattia e dei trattamenti; o ancora le narrazioni storico-culturali nelle quali si inseriscono le storie di malattia (es. metanarrazioni di comunità svantaggiate); e anche le dissertazioni sulle politiche sanitarie (in particolare quelle che inquadrano le linee guida che portano ad azioni specifiche, o quelle che giustificano la non azione); ed infine le narrazioni condivise e a più voci di comunità e movimenti sociali online.

Infine, la Marini sostiene la necessità di integrare la pratica farmaceutica basata sull’evidenza con approcci narrativi per garantire un’assistenza di alta qualità. Sottolinea l’importanza di una centralità della “narrativa farmaceutica” per migliorare la qualità e la sicurezza dell’assistenza sanitaria farmaceutica. La malattia è un’esperienza dirompente che richiede cure di alta qualità. Il miglior trattamento medico basato sull’evidenza rischia però di perdere parte della sua efficacia quando i pazienti si sentono fraintesi di fronte alla complessità delle loro esperienze. Potrebbero interrompere il trattamento, rifiutarsi di rivelare informazioni rilevanti o cercare alternative non valide. Un approccio basato sulla narrazione per il farmacista è utile per comprendere l’attitudine verso e la relazione con i farmaci nel momento della malattia e anche nel momento della salute quando i farmaci possono conservare o migliorare le performance. Possono fornire la chiave per comprendere come mai alcune persone sono aderenti e altre no. Infine la Marini mostra come partendo da una dimensione qualitativa si possa arrivare ad una dimensione quantitativa che può facilmente essere integrata con i dati provenienti dagli studi “tradizionali”. Attraverso la singola narrazione, si ottengono importanti informazioni riguardanti il modo di vivere la malattia (illness) o il proprio lavoro, i sentimenti, le soddisfazioni, gli obiettivi, le criticità, le paure; le storie possono essere aggregate e analizzate anche da un punto di vista quantitativo, estrapolandone mappe semantiche, parole ed espressioni più ricorrenti, profili dei narratori e i percorsi di cura. Nel momento in cui le narrazioni sono state trasformate in dati quantitativi questi possono essere messi a confronto con dati provenienti da altri questionari o con dati clinici.

La sessione si conclude con l’intervento di Daniela Scala, farmacista dell’AORN “A. Cardarelli” di Napoli e coordinatore di un’area culturale della SIFO, “informazione scientifica, educazione e informazione sanitaria” che riporta quanto emerso dall’analisi delle narrazioni dei farmacisti del SSN raccolte durante il primo lockdown marzo - aprile 2020. Lo studio è in corso di pubblicazione sull’ultimo numero del 2020 del GIFaC alla data di svolgimento del XLI Congresso Nazionale SIFO.

Questo studio è nato da un’idea di Maria Ernestina Faggiano e Daniela Scala con il prezioso supporto di Stefania Polvani. È una ricerca ed un impegno sull’identità professionale del farmacista del SSN che Faggiano e Scala stanno portando avanti da più di 5 anni. I dati qualitativi ottenuti dall’analisi delle narrazioni confermano quanto già emerso nei precedenti lavori che hanno utilizzato l’approccio narrativo per palesare qual è l’identità professionale percepita dai farmacisti del SSN individuandone, per una riflessione propedeutica alla progettazione di azioni migliorative/evolutive, punti di forza e di debolezza. Per completare questa riflessione mancava la valutazione dell’ “essere farmacista del SSN” in situazioni di emergenza. Questo lavoro, pertanto, rappresenta il tassello finale necessario per avere una “fotografia” più completa della identità professionale del farmacista del SSN: il percorso di analisi della professione, infatti, è partito dall’analisi degli elaborati degli specializzandi della Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera (SSFO) e di quelli degli strutturati, identificando similitudini e differenze rispetto alla scelta di essere farmacisti di parte pubblica per arrivare ai farmacisti in formazione come manager dei dipartimenti farmaceutici, delineando l’identità professionale delle figure apicali all’interno della professione.

La letteratura internazionale riporta che la possibilità di scrivere delle proprie esperienze traumatiche incoraggia l’uso di strategie di coping adattive, riduce le emozioni e le relazioni negative e migliora la soddisfazione sul lavoro; la possibilità di “rileggere” e quindi di riflettere su quanto scritto consente una maggiore conoscenza di sé come persona e professionista e apre spazi per una ridefinizione della cura che passa prima di tutto attraverso la cura di sé e poi dell’altro.

Sono state raccolte 23 narrazioni.

Nove narrazioni (39,1%) sono prevalentemente centrate sul disease, sull’aspetto tecnico legato alla professione e all’emergenza dettata dalla pandemia, 6 (26,1%) sono prevalentemente centrate sull’illness intesa come vissuto emotivo personale e le restanti 8 narrazioni (34,8%) sono un mix tra aspetti tecnici e apertura al mondo interno. In 10 narrazioni (43,5%) chi scrive individua nella pandemia un’opportunità di crescita umana e professionale, la quest narrative, la narrazione di ricerca. Attraverso queste narrazioni i farmacisti narrano l’esperienza della pandemia come un’occasione di ricerca individuale e professionale e la persona non sarà più la stessa che era prima della pandemia. In 13 narrazioni (56,6%) è presente la restitution a volte legata all’aspetto tecnico della professione relativamente alla gestione della pandemia o intesa come aspettativa di riconoscimento del ruolo professionale e desiderio di sentirsi gratificato e ripagato. La maggior parte delle narrazioni sono in progressione perché chi narra guarda con impegno a un futuro migliore, ricerca nuove soluzioni/impegni/attività

A differenza dei precedenti lavori sull’identità professionale, lo stato dell’Io predominante è quello dell’Adulto. (Il modello di Analisi Transazionale (AT) proposto da Berne prevede che la personalità di ciascun individuo si possa suddividere in tre parti, denominate stati dell’Io. Uno stato dell’Io viene definito da Berne come “un sistema di sentimenti accompagnati da un relativo insieme di tipi di comportamento”). In situazioni di emergenza i farmacisti del SSN rispondono maggiormente dallo stato dell’Io Adulto, ossia elaborando il legame con la realtà: esaminano la situazione, la valutano, si responsabilizzano e si comportano di conseguenza; il loro modo di valutare ed agire è frutto di un esame degli elementi raccolti e dall’analisi della realtà dei fatti. Questa considerazione insieme al dato che la maggior parte delle storie sono in progressione, alla forte presenza di quest narrative e di metafore inerenti ad ambiti diversi da quello usuale militare, quali quelli legati alla natura, alla quotidianità, allo svago, conferma che la percezione che il farmacista ha di sé è di un professionista (e persona) in evoluzione, situazione legata al divenire di una professione che lo vede ormai manager e corresponsabile nella Clinical Governance.

Questo studio ancora una volta, sottolinea Daniela Scala, porta l’attenzione sull’importanza di una formazione alle Medical Humanities del farmacista del SSN e alla ricerca di tipo qualitativo, considerata sempre la sorella minore rispetto le sperimentazioni cliniche. Oggi più che mai, vista la complessità dell’assistenza sanitaria, è di cruciale importanza l’utilizzo della ricerca qualitativa accanto a quella “tradizionalmente” vicina al farmacista per produrre “dati di qualità”, per dare “significato e colore” al dato quantitativo.

La sessione si è conclusa con l’augurio e l’impegno di SIFO nel proseguire sulla “strada della narrazione”, che inizia a dare i suoi frutti anche tra i farmacisti del SSN.