Il tempo delle biotecnologie.
Prolegomeni di un progresso remoto

Roberto Colonna,1 Daniele Marotta,1 Antonella Piscitelli,1 Vincenzo Iadevaia1

1Centro Interdipartimentale di Ricerca in Farmacoeconomia e Farmacoutilizzazione (CIRFF) dell’Università Federico II di Napoli

Parte quarta

Care colleghe, cari colleghi,

le biotecnologie sono oggi, probabilmente, uno dei temi cardini della nostra modernità. In questo lavoro, di cui quella che vi apprestate a leggere è l’ultima di un ciclo di articoli che sono stati pubblicati nei numeri precedenti del Bollettino SIFO, Roberto Colonna, Daniele Marotta, Antonella Piscitelli e Vincenzo Iadevaia del Centro Interdipartimentale di Ricerca in Farmacoeconomia e Farmacoutilizzazione (CIRFF) dell’Università Federico II di Napoli, provano, con esiti decisamente postivi, a fare una storia di questa conoscenza che intreccia problemi e interrogativi di natura assai differente. Proprio per queste ragioni, gli autori hanno giustamente avviato le loro riflessioni a partite dalle cosiddette “condizioni di possibilità”, muovendosi quindi in un ambito essenzialmente filosofico, per poi analizzare cronologicamente tutte le tappe che hanno segnato la lunga e suggestiva storia delle biotecnologie. Nel complesso i saggi, benché corposi e pregni di nozioni, si presentano equilibrati nei contenuti quanto nella forma e offrono una efficace panoramica sulla storia delle biotecnologie. Di particolare interesse risultano essere anche le note a piè di pagina, le quali, oltre ad assolvere alla funzione strumentale di fornire le indicazioni delle fonti utilizzate, rappresentano un interessante sottotesto secondario che arricchisce e stimola ricerche connesse agli argomenti trattati nel testo principale.

Enrica Menditto

Il pensiero è la proposizione munita di senso.

Ludwig Wittgenstein

Le nuove frontiere delle biotecnologie farmacologiche sono rivolte oggi allo sviluppo di due categorie di farmaci, i monoclonali e i medicinali a mRNA (RNA messaggero).

L’introduzione di proteine funzionalmente complesse in ambito terapeutico ha condotto, per esempio, alla sintesi di anticorpi monoclonali che permettono di trattare un’ampia gamma di patologie. Questi anticorpi sono fra loro identici perché prodotti da un solo tipo di clone o cellula immunitaria (uno specifico linfocita B), benché se ne possano creare di diverso tipo, tutti con attività mirata, ossia capaci di legarsi specificamente a un solo e determinato antigene1.

La tecnologia per produrre gli anticorpi monoclonali è stata messa a punto da George Kölher e César Milstein a Cambridge nel 19752 che insieme a Niels Kaj Jerne vinsero per questa ragione il premio Nobel per la medicina nel 19843. Forse anche per questo non può non apparire come un paradosso la circostanza per la quale l’esperto di brevetti del Medical Research Council non ritenne brevettabile la scoperta di Kölher e Milstein4. Comunque, quattro anni dopo Greg Winter definì le tecniche per umanizzare5 gli anticorpi monoclonali, eliminando gran parte delle reazioni avverse che generavano6. In tal modo, si è aperta una strada, feconda e innovativa, che da allora sta avendo un riscontro crescente in terapia, come testimoniato anche dai recenti successi ottenuti in questo campo da James Allison e Tasuku Honjo7.

Un anticorpo è una glicoproteina che ha il compito di riconoscere un antigene8 presente su di un “invasore”, in genere patogeni come batteri e virus, per permettere all’organismo di neutralizzarli. Il sistema immunitario dell’essere umano ne produce molti tipi differenti, pronti a identificare il “nemico” attraverso reazioni di interazione molecolare: quando il sito di legame presente su un anticorpo trova un antigene complementare sulla superficie di un patogeno invasore, il sistema immunitario inizia, con una molteplicità di interventi, anche cellulari, a produrre l’anticorpo in questione, e in questo modo l’infezione può essere sconfitta.

Sussistono tuttavia due problematiche, ovvero ci sono molti anticorpi, ma non tutti hanno la stessa efficacia contro un potenziale invasore; l’organismo, inoltre, impiega tempo per produrre gli anticorpi in quantità sufficiente a debellare una malattia in corso.

Questi due problemi sono stati risolti con l’aiuto degli anticorpi monoclonali: anticorpi prodotti artificialmente da un solo clone cellulare e pertanto tutti identici tra loro, e quindi con identica efficienza nel neutralizzare il proprio antigene. In teoria, una volta identificato un anticorpo neutralizzante efficace, è possibile produrne copie perfette, nelle quantità necessarie, ottenendo un farmaco specifico ed efficace. Nella realtà dei fatti, quando avviene un’infezione, si attua l’immunità naturale e gli anticorpi generati contro l’agente infettante non sono formati da una sola proteina anticorpale, ma da un insieme di proteine prodotte dai globuli bianchi specifiche per i numerosi punti antigenici presenti sulla superficie dell’agente infettante (epitopi), per cui gli anticorpi prodotti sono specifici solo per l’epitopo. Questo comporta anche che gli anticorpi neutralizzanti, cioè quelli che bloccano specificamente l’attacco dell’agente infettante alla cellula umana, sono solo una frazione del totale, quindi meno efficaci. Gli anticorpi prodotti dall’immunità naturale, sono detti policlonali, e trovano scarse applicazioni nella clinica e nella diagnostica proprio perché non si sa con certezza contro quale antigene siano diretti. Di fatto andrebbero ulteriormente purificati con una complessa metodologia, non sempre attuabile. Anche nei processi tumorali si generano anticorpi e c’è un tipo di tumore, il mieloma multiplo, che attiva la proliferazione di un clone cellulare neoplastico, appartenente al sistema immunitario cellulare del midollo osseo che, pur avendo la funzione di produrre anticorpi, comincia a proliferare incontrollatamente e a produrre grandi quantità di un solo tipo di anticorpo con profonde anomalie cariotipiche e con l’attivazione di oncogeni. Questi anticorpi sono quindi monoclonali e hanno enormi potenzialità cliniche perché, a causa della loro elevata specificità, si possono usare per ricercare una specifica proteina e legarla. Possono quindi neutralizzare, per esempio, una proteina tumorale o, anche, rivelare particolari proteine che segnalano la presenza di un’infezione in un test diagnostico.

La seconda categoria di farmaci a cui si faceva riferimento è quella a base di mRNA che, insieme a quelli a RNA antisenso (asRNA), a RNA interference (RNAi) e ad aptameri dell’RNA, fanno parte dell’ampia famiglia dei medicinali a RNA9.

L’RNA è una sostanza ereditaria intermedia nel dogma centrale10, la cui sigla sta per RiboNucleic Acid, ossia Acido RiboNucleico. Come il DNA, anche l’RNA è un attore coinvolto nella “gestione” del patrimonio genetico. Ma la differenza tra queste due molecole è evidente già nelle loro strutture: mentre il DNA è caratterizzato dalla famosa doppia elica, l’RNA è una molecola formata da un singolo filamento di nucleotidi. L’RNA può essere distinto in RNA codificante e RNA non-codificante; dal primo si originano le proteine, mentre il secondo è coinvolto in attività di regolazione a vari livelli.

L’RNA codificante si genera a partire dal DNA e mediante il processo di “trascrizione” a livello ribosomiale attiva la sintesi proteica, che traduce in proteine le informazioni genetiche complementari provenienti dal DNA. Gli organismi cellulari procarioti ed eucarioti utilizzano, dunque, l’mRNA per tradurre le informazioni genetiche in proteine specifiche.

Per il ruolo di “controllo e regolazione” che svolge sul genoma e i suoi prodotti, l’RNA ha un potenziale altissimo dal punto di vista farmacologico. Modularlo significa, per esempio, poter ripristinare la produzione di una specifica proteina nel caso in cui il blocco traduzionale/trascrizionale sia la causa di una condizione patologica. Oppure, al contrario, si può agire attraverso gli RNA non codificanti per “silenziare” l’espressione di geni codificanti nella sintesi di proteine dannose per l’organismo, come accade in molte malattie genetiche11.

L’mRNA fu scoperto per la prima volta nel 196112 anche se il concetto di farmaco a base di mRNA non fu concepito fino al 1989, quando fu dimostrato che l’mRNA poteva essere transfettato con successo in varie cellule eucariotiche mediante un lipide anfifilico-cationico13. Nel 1990, l’mRNA trascritto in vitro fu espresso nelle cellule muscolari scheletriche di topo attraverso iniezione diretta: questo esperimento rappresentò il primo tentativo riuscito di espressione dell’mRNA in vivo, dimostrando la fattibilità dello sviluppo di un medicinale a mRNA14. Da allora, le ricerche sulle funzioni e sulla struttura dell’mRNA hanno compiuto importati passi in avanti per permetterne un efficace utilizzo terapeutico, superando, o quanto meno contenendo, alcune criticità significative, quali per esempio, l’instabilità dell’mRNA, l’elevata immunogenicità intrinseca e l’inefficiente somministrazione in vivo15.

Le possibilità di intervento sull’RNA individuate nei laboratori biotecnologici in questi anni sono state d’altronde numerose. Una parte essenziale di queste ricerche ha puntato sui meccanismi di regolazione genica mediante silenziamento da parte del RNA. È stato infatti dimostrato che molecole corte di RNA regolano l’espressione genica mediante due meccanismi citoplasmatici (la degradazione dell’mRNA e l’inibizione o l’arresto della traduzione)16, che portano, appunto, al silenziamento genico17. A tal proposito, l’ingegnerizzazione di “small RNA molecules”18 si sono dimostrate un filone molto fecondo per lo sviluppo di nuovi farmaci19. Per esempio, sono stati progettati oligonucleotidi antisenso20 capaci di “attaccarsi” all’RNA proprio nel tratto in cui è presente l’errore in modo da ripristinare la sintesi delle proteine mancanti. Altri approcci innovativi di farmaci a base di RNA hanno riguardato farmaci orfani per alcune malattie rare ereditarie, tra cui la distrofia muscolare di Duchenne e l’amiotrofia spinale infantile21.

Nella compagine dei medicinali a base mRNA, un settore che esprime risultati sempre più significativi è quello dei vaccini. Questi vaccini, mediante l’inoculazione di frammenti di MRNA (un mRNA modificato chimicamente) nelle cellule umane, stimolano una risposta immunitaria adattativa inducendo la produzione di anticorpi neutralizzanti contro antigeni di organismi patogeni (come, per esempio, contro la proteina SpikeS1 del virus SARS-CoV-2) o anche contro antigeni tumorali22.

Il vaccino è quindi un vero e proprio farmaco che stimola il sistema immunitario a produrre anticorpi deputati a combattere i microrganismi che causano malattia. In altre parole, quando un individuo si vaccina, il suo sistema immunitario reagisce come se stesse affrontando un’infezione, senza tuttavia averla contratta. La vaccinazione lo rende cioè capace di riconoscere, attraverso lo sviluppo della memoria immunologica, l’agente estraneo contro cui il vaccino è diretto e di innescare una risposta immune. La vaccinazione sviluppa, infatti, particolari cellule di origine linfocitica, dette cellule della memoria immunologica, che rende l’organismo capace di ricordare e riconoscere in futuro l’agente estraneo contro cui il vaccino è diretto poiché innesca una risposta immunitaria adattativa cellulo-mediata. Questa risposta si sviluppa molto più velocemente rispetto a quanto avviene nei confronti di un’infezione naturale in un soggetto che non abbia precedentemente contratto la malattia23.

Prima dell’introduzione di strategie preventive e terapeutiche efficaci, le malattie infettive costringevano l’umanità a una aspettativa di vita minore di cinquant’anni24. A questo proposito, si pensi agli effetti catastrofici in termini di vite umane perdute provocate da pandemie come la peste di Giustiniano (542-546 d.C.) che, pare, provocò cento milioni di morti; la peste bubbonica (1347-50), nota anche come “peste nera”, che uccise quasi un terzo dell’intera popolazione umana dell’epoca25; l’influenza “spagnola” (1918-1919) che causò un numero di morti, su cui gli storici ancora si interrogano, tra i cinquanta e cento milioni in tutto il mondo, riducendo della metà la popolazione europea26.

Se contro le infezioni batteriche sono stati trovati farmaci molto efficaci come gli antibiotici, contro le infezioni virali non si è potuto disporre di presidi parimenti validi, per cui si è dovuto ricorre alla protezione dei vaccini. Ciononostante, grazie ai vaccini pericolose malattie sono state completamente debellate mentre altre, come la poliomielite e il morbillo, sono state poste sotto controllo.

Per contenere un’epidemia virale, è fondamentale che gli anticorpi agiscano in modo rapido e “contemporaneamente” all’interno della popolazione oggetto dell’epidemia. Come è stato accennato, spesso in natura queste difese si attivano troppo tardi per impedire all’invasore di arrecare danni. In questa prospettiva, la condizione ideale si verifica quando i meccanismi cellulari per produrre gli anticorpi sono già attivi all’interno dell’organismo. L’effetto che produce un vaccino è proprio questo, anticipare la produzione di anticorpi per contrastare un attacco virale. L’azione di un vaccino consiste, infatti, nella “presentazione” dell’antigene all’organismo, per stimolare la produzione di anticorpi corrispondenti. Questi anticorpi restano nel sangue per un certo periodo di tempo durante il quale se subentra il microbo invasore si attivano per eliminarlo.

Il primo vaccino fu sperimentato con successo da Edward Jenner che nel luglio del 1796 inoculò in un bambino di 8 anni, James Phipps, affetto da vaiolo del materiale purulento prelevato da una giovane cameriera, Sarah Nelms, che presentava lesioni fresche di vaiolo bovino sulle mani e sulle braccia27. Jenner aveva capito che il vaiolo bovino non solo proteggeva dal vaiolo umano, ma poteva anche essere utilizzato quale meccanismo preventivo e deliberato di protezione28. Attualmente, nello sviluppo di molti vaccini si adottano principi analoghi. Per esempio, quando si adopera un vaccino vivo come quello di Jenner, si selezionano i cosiddetti ceppi attenuati, ossia indeboliti, in modo che possano replicarsi nel corpo e stimolare una forte produzione di anticorpi. Questo meccanismo espone però al rischio che il ceppo indebolito si possa mutare in una forma virulenta. Un’alternativa a tale tecnica consiste nell’uso di virus morti (inattivati) che scatenano una risposta efficace, benché permanga il pericolo che qualcuno dei virus possa sopravvivare al trattamento chimico o termico con cui li si uccide. Un terzo tipo di vaccini sfrutta solo l’antigene isolato dal virus: questa è la scelta più sicura, dato che non si usano virus integri. La difficoltà è nell’usare l’antigene giusto dal momento che i virus possono avere in superficie numerose molecole in grado di agire da antigeni. Inoltre, questi tre approcci richiedono che si coltivi il virus in un fermentatore, una procedura che impone una grande attenzione poiché bisogna escludere completamente la presenza di virus ancora vivi all’interno della produzione di lotti di virus uccisi o di antigeni.

L’ingegneria genetica ha permesso di fare un grande passo in avanti nella produzione di vaccini, creando antigeni puri senza far ricorso a virus vivi. Il primo vaccino prodotto in tal modo è stato quello per l’epatite B ricavato a partire dal suo antigene di superficie (Hepatitis B surface antigen – HbsAg)29, ottenuto da cellule di lieviti (Saccharomyces cerevisiae) mediante la tecnica del DNA ricombinante e, dunque, privo di particelle virali.




Un’ulteriore, e forse più decisiva svolta, si è avuta con i vaccini a vettore virale e quelli a mRNA. Se nei vaccini vivi attenuati, come quelli per il morbillo, la parotite e la rosolia, i virus indeboliti incorporano le loro istruzioni genetiche nelle cellule ospiti, inducendo il corpo a “sfornare” copie virali che provocano risposte anticorpali e dei linfociti T, nei vaccini a vettore virale e in quelli a mRNA è possibile sintetizzare e inserire istruzioni genetiche di antigeni del patogeno di interesse per indurre risposte immunitarie .

La tecnica del vettore virale trasporta le informazioni genetiche del virus che si vuole combattere usando un genoma virale integro a cui è stata eliminata la proteina che induce la riproduzione di nuovi virioni. In tal modo, viene introdotto un virus inattivo e meno dannoso – spesso un comune adenovirus (per esempio quello che causa il raffreddore) progettato in modo da integrarsi nell’ospite senza potersi replicare – con l’obiettivo di fornire anche le indicazioni necessarie per codificare l’antigene desiderato nelle cellule ospiti del soggetto ricevente . In altre parole, i vaccini a vettore virale introducono un virus svuotato dalla sua capacità di riprodursi con all’interno un DNA utile per formare l’antigene che induce la protezione dal virus.

I vaccini a mRNA agiscono, invece, attraverso l’inoculazione di frammenti di mRNA nelle cellule umane in modo da indurre attraverso i ribosomi l’antigene per la risposta immunitaria, cioè si usano molecole di mRNA per dare alle cellule dell’ospite informazioni necessarie per generare gli anticorpi. In tal senso, il vaccino a mRNA transfetta molecole di RNA sintetico in cellule immunitarie e, una volta al loro interno, l’RNA del vaccino funziona come un normale mRNA che stimola le cellule a costruire una proteina estranea che normalmente sarebbe prodotta dall’agente patogeno (come un virus) o anche da una cellula cancerosa. Queste molecole proteiche stimolano una risposta immunitaria adattativa che insegna al corpo come identificare e distruggere il corrispondente agente patogeno o cellule cancerose. La risposta che si ottiene è una risposta immunitaria adattativa che insegna al corpo come identificare e distruggere uno specifico agente patogeno o delle cellule cancerose .

Se da un punto di vista puramente astratto la teorizzazione di un vaccino a mRNA non ha presentato grandi difficoltà, non pochi problemi sono sorti quando si è cercato concretamente di mettere in commercio preparati flessibili, facili da produrre, sicuri ed efficaci . Fino al 2000, la linea di ricerca più promettente sembrava essere quella basata sul DNA visti anche gli allora insormontabili ostacoli posti dell’RNA soprattutto in termini di instabilità, di risposte infiammatorie eccessive e di inefficienza del rilascio in vivo. La produzione di RNA messaggero (mRNA) trascritto in vitro (IVT) è un processo abbastanza semplice , ma la creazione di mRNA “terapeutico” di alta qualità che fosse altamente traducibile e non inducesse gravi infiammazioni era, per le conoscenze dell’epoca, irrealizzabile.

Il quadro mutò radicalmente a partire dal 2005 con gli studi Katalin Karikó e Drew Weissman sull’incorporazione di nucleosidi modificati . Agli inizi degli anni 2010 furono introdotte delle innovative metodiche per l’ottimizzazione delle sequenze codificanti e la purificazione dell’mRNA IVT mediante cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC) per rimuovere l’RNA a doppio filamento (dsRNA) contaminanti . Si comprese, poi, come proteggere l’mRNA dalla degradazione troppo rapida nel corpo racchiudendolo in molecole di trasporto lipidico. Questi veicoli di rilascio permisero all’mRNA di attraversare la membrana cellulare e generare un effetto adiuvante immunostimolante.

La piattaforma produttiva dei vaccini a mRNA si caratterizza per essere capace di sviluppare prodotti estremamente versatili che sono in grado di intervenire su diverse tipologie di malattia o che possono modificare con relativa semplicità parte della loro costituzione in caso di varianti espresse dai virus. In realtà, anche le altre tipologie di vaccino possono essere rimodulate nei confronti di nuove varianti, ma questa “rimodulazione” richiede un lasso di tempo di alcuni mesi. Con la tecnologia mRNA, invece, sono sufficienti poche settimane poiché non appena la sequenza di un virus viene resa nota, le sue caratteristiche sono registrate in un comune file informatico e da lì è poi sviluppato il vaccino.

La procedura estremamente digitalizzata dei vaccini a mRNA ha anche il non trascurabile vantaggio che gli errori umani durante la progettazione siano un’evenienza piuttosto rara. Inoltre, a differenza dei vaccini convenzionali, i vaccini a mRNA, non essendo coltivati nelle uova o nelle cellule, procedure, come è noto, lunghe e costose, possono essere realizzati con tempistiche più brevi e su larga scala, sebbene, prima del 2021, quando furono usati per contrastare l’infezione pandemica da COVID-19, non erano mai stati prodotti per essere somministrati in pochi mesi a milioni di persone

Da ciò che è stato scritto finora, appare ben chiaro quanto l’impatto delle biotecnologie in ambito farmaceutico sia stato significativo. Questi nuovi farmaci hanno rivoluzionato le terapie prima esistenti, definendo percorsi curativi divenuti poi imprescindibili per affrontare molte patologie. Un successo scientifico, spesso di portata storica, che si è accompagnato a un non meno importate successo economico . Nel volgere di pochi anni, infatti, le aziende di farmaci biotecnologici, pur soffrendo di quella tendenza al monopolismo tipica dell’economia capitalista in generale e di quella globalizzata in particolare, sono state acquisite o sono diventate delle Giant Corporation , ponendosi così sul gradino più alto delle gerarchie finanziarie contemporanee, controllando e condizionando ricerca e mercato a livello mondiale .

L’interconnessione tra farmaci e guadagni ha accesso aspri dibattiti sulle reali finalità delle aziende biotecnologiche, soventi accusate di puntare più ai profitti che alla salute. Del resto, soprattutto nel settore delle biotecnologie, la demarcazione tra valutazioni medico-sanitarie e valutazioni economiche è una linea piuttosto difficile da tracciare anche perché si presta a molteplici ambiguità, siano esse volute o inconsapevoli. Ambiguità che però alimentano diffidenze e un senso di insicurezza sociale che si ripercuote negativamente tanto sul rapporto tra cittadini e imprese “for profit”, quanto sulle stesse possibilità di profitto da parte delle aziende coinvolte. Si pensi, a questo proposito, alle varie campagne di boicottaggio contro alcune di queste multinazionali per le loro condotte giudicate “non etiche”, campagne che in taluni casi hanno provocato il crollo in borsa dei rispettivi titoli e fomentato violente polemiche contro la cosiddetta “Big Pharma” .

Il nodo della questione ruota intorno al fatto che se da un lato le industrie chimiche farmaceutiche contribuiscono al miglioramento della salute pubblica attraverso la ricerca e la produzione di farmaci essenziali, dall’altro la loro azione solleva non pochi problemi etici, concernenti, per esempio la proprietà intellettuale, i requisiti etici dei trials clinici, il prezzo dei farmaci e la possibilità di accesso esteso a essi, la trasparenza dell’informazione, la commercializzazione dei test genetici . Per cui, se è vero che lo sviluppo e la sperimentazione di un farmaco sono processi costosi e rischiosi dal punto di vista degli investimenti, è vero anche che produrli richieda un “sovrappiù di responsabilità” rispetto a un comune bene di consumo. Invece, talvolta l’affermazione di un prodotto farmaceutico sul mercato non dipende tanto dalla sua qualità ed efficacia, ma dalla capacità di marketing delle imprese nei riguardi di medici e di pazienti . Il rischio, in questi casi, è che il farmaco assuma, in modo improprio, la natura di un qualsiasi altro bene, e non riesca a essere il risultato di quel difficile bilanciamento tra esigenze economiche, tutela della salute, valori morali, questioni di giustizia mondiale.

A ben vedere, tutta la questione può forse essere ricondotta, anche in un’ottica prospettica, alla nota distinzione weberiana tra “etica dei principi” ed “etica della responsabilità”. La caratteristica distintiva dell’etica dei principi è la considerazione dei fini come incondizionati, che devono essere quindi perseguiti indipendentemente dai mezzi e dalle condizioni indispensabili per realizzarli . Al contrario, l’etica della responsabilità prescrive che si debba «rispondere delle conseguenze del proprio agire» , ossia agire tenendo conto anche delle conseguenze: chi agisce in base a un’etica siffatta estende la propria valutazione dal fine ai mezzi necessari per conseguirlo, e quindi alle conseguenze dell’impiego di questi . In altre parole, chi agisce in base a un’etica della responsabilità compie le sue scelte non soltanto in base ai fini che intende perseguire ma anche alla compatibilità tra questi e i mezzi che deve impiegare, assumendosi la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni. Non è tuttavia possibile secondo Weber stabilire se, e quando, si debba agire in base all’una o altra forma di etica, perché pur nella loro antitesi le due forme di etica «non costituiscono due poli assolutamente opposti, ma due elementi che si completano a vicenda e che soltanto insieme creano l’uomo autentico» .

Sia chiaro, non si intende qui ricadere in un orizzonte da Comma 22 , tutt’altro questo ragionamento tenta di sussumere uno di quei tratti che, nella sua accezione di complessità, distingue il mondo, nel quale ogni elemento che lo compone, in principio si afferma come “neutrale”, in attesa che gli venga attribuito quel senso “particolare” e “unico” che lo caratterizzerà per un determinato tempo e in un determinato luogo. Per cui la responsabilità – che, non si dimentichi, deriva da “rispondere” nella sua declinazione di “rispondere di un’azione di fronte a una istanza” – deve essere compresa anche nello sforzo di chi compie azioni, o chi quelle azioni le accetta, per aprirsi un varco, qualcuno direbbe una luce, in quella dimensione di assoluto e di inconoscibile che è l’Ignoto, il quale «evoca senza posa domande, senza mai fornire risposte certe» .

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1 Cfr., Mantovani A. 2016. Immunità e vaccini, Milano: Mondadori, pp. 24-25.

2 Cfr., Aldridge S. Op. cit., pp. 220-221.

3 Gli anticorpi monoclonali sono in breve tempo divenuti indispensabili nelle ricerche di base così come nella clinica, per cui, come tutti i farmaci di successo, hanno avuto anche importanti ricadute di tipo commerciale. Tuttavia, paradossalmente, all’epoca, l’esperto di brevetti del Medical Research Comcil non ritenne brevettabile la scoperta di Kölher e Milstein (cfr., Op. cit., pp. 24-25).

4 Cfr., Mantovani A. Op. cit., p. 25.

5 L’umanizzazione è una tecnica sovente utilizzata per la creazione di anticorpi monoclonali. Essa si rende necessaria quando, durante un processo di genesi di un determinato anticorpo, si utilizza un sistema immunitario non umano, come per esempio quello di un topo. Gli anticorpi umanizzati sono, pertanto, anticorpi di origine non umana, le cui sequenze proteiche sono state modificate per aumentarne la somiglianza con le varianti prodotte naturalmente dall’uomo (cfr., Queen C., Schneider W.P., Selick H.E., Payne P.W., Landolfi N.F., Duncan J.F., Avdalovic N.M., Levitt M., Junghans R.P., Waldmann T.A. 1989. “A humanized antibody that binds to the interleukin 2 receptor”. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, dicembre 1, 86 (24): pp. 10029-10033).

6 Cfr., Riechmann, L., Clark, M., Waldmann, H. Winter G. 1988. “Reshaping human antibodies for therapy”. Nature, 332: pp. 323-327.

7 Cfr., Altmann D.M. 2018. “A Nobel Prize-worthy pursuit: cancer immunology and harnessing immunity to tumour neoantigens”. Immunology, 155 (3): pp. 283-284.

8 L’antigene è una sostanza estranea che, quando viene inserita all’interno di un organismo, provoca la formazione di anticorpi e, reagendo in modo specifico con essi, induce una risposta immunitaria. Nell’essere umano possono comportarsi come antigeni le molecole proteiche contenute in batteri, virus, protozoi, piante, cibi, veleno di serpenti, componenti del siero e le proteine che sono presenti sulla membrana di globuli rossi e di altri tipi cellulari (cfr., Abbas A.K., Lichtman A.H., Pillai S. 1994. Immunologia cellulare e molecolare. Milano: Edra; Golub E.S. 1989. Immunologia, una sintesi. Bologna: Zanichelli).

9 La classificazione dei medicinali a base RNA è naturalmente molto più complessa: a questo proposito, si rinvia a St Laurent G., Wahlestedt C., Kapranov P. 2015. “The Landscape of long noncoding RNA classification”. Trends in genetics, maggio 31 (5): pp. 239-251.

10 Il “dogma centrale” della biologia molecolare è un principio formulato negli anni Cinquanta da Francis Crick, secondo cui, in biologia molecolare, il flusso dell’informazione genetica si caratterizza per essere monodirezionale, muovendosi dagli acidi nucleici per arrivare alle proteine (cfr., Crick F. 1970. “Central dogma of molecular biology”. Nature, 227: pp. 561-563).

11 Cfr., Ferlini A., Goyenvalle A., Muntoni F. 2021. “RNA-targeted drugs for neuromuscular diseases”. Science, gennaio, 371 (6524): pp. 29-31.

12 Cfr., Brenner S., Jacob F., Meselson M. 1961. “An Unstable Intermediate Carrying Information from Genes to Ribosomes for Protein Synthesis”. Nature, 190: pp. 576-581.

13 Cfr., Malone R.W., Felgner P.L., Verma I.M. 1989. “Cationic liposome-mediated RNA transfection”. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 86 (16): pp. 6077-6081.

14 Cfr., Wolff J., Malone R., Williams P., Chong W., Acsadi G., Jani A., Felgner P. 1990. “Direct gene transfer into mouse muscle in vivo”. Science, 247: pp. 1465-1468.

15 Cfr., Xu S., Yang K., Li R., Zhang L. 2020. “mRNA Vaccine Era-Mechanisms, Drug Platform and Clinical Prospection”. International journal of molecular sciences, settembre 9, 21(18): p. 6582.

16 All’interno del nucleo questo stesso processo avviene attraverso metilazione nel DNA di residui di citosina (cfr., Klug W.S., Spencer C.A. Op. cit., p. 467).

17 Cfr., ibidem.

18 I microRNA (miRNA) sono RNA che regolano l’espressione di RNA messaggeri complementari (cfr., Ambros V. 2004. “The functions of animal microRNAs”. Nature, 431, pp. 350-355). I miRNA hanno una lunghezza di circa ventidue nucleotidi e si trovano in tutti i metazoi studiati finora (cfr., Bartel DP. 2004 “MicroRNAs: genomica, biogenesi, meccanismo e funzione”. Cella, 116: pp. 281-297).

19 Cfr., Ambros V. Op. cit.

20 Per oligonucleotide antisenso si intende un breve frammento di DNA che contiene la sequenza nucleotidica complementare del filamento di DNA codificante (senso) o di RNA messaggero (mRNA). Grazie a questa sua “peculiarità”, l’oligonucleotide antisenso è capace di congiungersi con il DNA codificante (senso) o con l’mRNA annullandone l’attività biologica. Gli oligonucleotidi impiegati in terapia sono sintetici, benché siano stati individuati nelle cellule anche oligonucleotidi endogeni, di cui però è ancora ignota la funzione. I loro utilizzo si concentra sulle malattie gene-specifiche e, attualmente, le piattaforme più promettenti sono rappresentate dagli oligonucleotidi antisenso (ASO) e gli RNA interferenti corti (siRNA) (cfr., Chi X., Gatti P., Papoian T. 2017. “Safety of antisense oligonucleotide and siRNA-based therapeutics”. Drug discovery today, maggio 22 (5): pp. 823-833).

21 Cfr., Ferlini A., Goyenvalle A., Muntoni F. Op. cit.

22 Cfr., Lundstrom K. 2015. “RNA-based drugs and vaccines”. Expert review of vaccine, febbraio, 14 (2): pp. 253-63.

23 Cfr., Istituto Superiore di Sanità. 2019. I vaccini, in < https://www.iss.it/focus/-/asset_publisher/92GBB5m5b1hB/content/vaccini >.

24 Cfr., Rappuoli R., Pizza M., Del Giudice G., De Gregorio E. 2014. “Vaccines, new opportunities for a new society”. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, agosto 111 (34): pp. 12288-12293.

25 Cfr., Alchon S.A. 2003. A pest in the land: new world epidemics in a global perspective, Albuquerque: University of New Mexico Press; e WHO. 2000. WHO Report on Global Surveillance of Epidemic-Prone Infectious Diseases, in < https://www.who.int/csr/resources/publications/surveillance/WHO_Report_Infectious_Diseases.pdf?ua=1 >, pp. 25-31; e Schmid B.V., Büntgen U., Easterday W.R., Ginzler C., Walløe L., Bramanti B. 2015. “Climate-driven introduction of the Black Death and successive plague reintroductions into Europe”. Proceedings of the National Academy of Sciences of United States of America, 112: pp. 3020-3025.

26 Cfr., Taubenberger J.K., Morens D.M. 2006. “1918 influenza: the mother of all pandemics”. Emerging infectious diseases, gennaio 12 (1): pp. 15-22; e Morens D.M., Taubenberger J.K., Harvey H.A., Memoli M.J. 2010. “The 1918 influenza pandemic: lessons for 2009 and the future”. Critical care medicine, 38 (4 Suppl.): e10-e20.

27 Cfr., Jenner E. 1800. “Dr. Jenner, on the Vaccine Inoculation”. The Medical and physical journal, giugno, 3 (16): pp. 502-503. Jenner, suggestionato dai racconti di madri protette dal vaiolo umano dopo aver sofferto del vaiolo bovino, aveva iniziato a maturare l’idea dei possibili effetti protettivi del vaiolo bovino già durante il suo apprendistato con George Harwicke negli anni Settanta del Settecento (cfr., Willis N.J. 1997. “Edward Jenner and the eradication of smallpox”. Scottish Medical Journal, agosto 42 (4): pp. 118-121).

28 Cfr., Riedel S. 2005. “Edward Jenner and the History of Smallpox and Vaccination”. Proceedings / Baylor University Medical Center, gennaio 18 (1): pp. 21-25.

29 L’Hepatitis B surface antigen (HbsAg) fu scoperto da Baruch Samuel Blumberg nel 1964 nel sangue di un aborigeno australiano, motivo per il quale fu inizialmente chiamato “antigene australiano” (cfr., Blumberg B. S. 1964. “Polymorphisms of the serum proteins and the development of iso-preciptins in transfused patients”. Bulletin of the New York Academy of Medicine, maggio 40 (5): pp. 377-386). Sulla base di questa scoperta, per la quale vinse il premio Nobel nel 1976, Blumberg progettò un test di screening per il virus dell’epatite B (che permise di prevenire la diffusione di questa malattia nelle donazioni di sangue) e, soprattutto, sviluppò un vaccino di cui, scelta non comune, decise di distribuire gratuitamente il brevetto (Das P. 2002. “Baruch Blumberg - hepatitis B and beyond”. The Lancet Infectious Diseases, vol. 2 (12): pp. 767-771).

30 Cfr., Abbasi J. 2020. “COVID-19 and mRNA Vaccines-First Large Test for a New Approach”. JAMA, settembre, 324 (12): pp. 1125-1127.

31 Cfr., de Vries R.D., Rimmelzwaan G.F. 2016. “Viral vector-based influenza vaccines”. Human Vaccines & Immunotherapeutics, 12 (11): pp. 2881-2901.

32 Cfr., Verbeke R., Lentacker I., De Smedt S.C., Dewitte H. 2019. “Three decades of messenger RNA vaccine development”. Nano Today, ottobre, 28, 100766.

33 Le fonti, a partire dalle quali è stata realizzata questa figura, sono: University of Oxford, AstraZeneca, Pfizer, Bloomberg research.

34 Cfr., Pardi N., Hogan M.J., Weissman D. 2020. “Recent advances in mRNA vaccine technology”. Current Opinion in Immunology, agosto, 65: pp. 14-20.

35 Cfr., Suschak J.J., Williams J.A., Schmaljohn C.S. 2017. “Advancements in DNA vaccine vectors, non-mechanical delivery methods, and molecular adjuvants to increase immunogenicity”. Human vaccines & immunotherapeutics, dicembre 13 (12): pp. 2837-2848.

36 Cfr., Pardi N., Muramatsu H., Weissman D., Kariko K. 2013. “In vitro transcription of long RNA containing modified nucleosides”. Methods in molecular biology, 969: pp. 29-42; e Weissman D., Pardi N., Muramatsu H., Kariko K. 2013. “HPLC purification of in vitro transcribed long RNA”. Methods in molecular biology, 969: pp. 43-54.

37 Cfr. Kariko K., Buckstein M., Ni H., Weissman D. 2005. “Suppression of RNA recognition by Toll-like receptors: the impact of nucleoside modification and the evolutionary origin of RNA”. Immunity, agosto, 23 (2): pp. 165-175; e Kariko K., Muramatsu H., Welsh F.A., Ludwig J., Kato H., Akira S., Weissman D. 2008. “Incorporation of pseudouridine into mRNA yields superior nonimmunogenic vector with increased translational capacity and biological stability”. Molecular therapy: the journal of the American Society of Gene Therapy, novembre, 16 (11), pp. 1833-1840.

38 Cfr., Thess A., Grund S., Mui B.L., Hope M.J., Baumhof P., Fotin-Mleczek M., Schlake T. 2015. “Sequence-engineered mRNA without chemical nucleoside modifications enables an effective protein therapy in large animals”. Molecular therapy: the journal of the American Society of Gene Therapy, settembre 23 (9): pp. 1456-1464.

39 Cfr., Kariko K., Muramatsu H., Ludwig J., Weissman D. 2011. “Generating the optimal mRNA for therapy: HPLC purification eliminates immune activation and improves translation of nucleoside-modified, protein-encoding mRNA”. Nucleic acids research, novembre 39 (21): e142.

40 Cfr., Sahin U., Kariko K., Tureci O. 2014. “mRNA-based therapeutics — developing a new class of drugs”. Nature Reviews Drug Discovery, ottobre, 13: pp. 759-780; e Pardi N., Hogan M.J., Porter F.W., Weissman D. 2018. “mRNA vaccines - a new era in vaccinology”. Nature Reviews Drug Discovery, 17: pp. 261-279; Kowalski P.S., Rudra A., Miao L., Anderson D.G. 2019. “Delivering the messenger: advances in technologies for therapeutic mRNA delivery”. Molecular therapy: the journal of the American Society of Gene Therapy, febbraio 27: pp. 710-728.

41 Cfr., Abbasi J. Op. cit.

42 Cfr., Bruzzi S. 2009. Economia e strategia delle imprese farmaceutiche, Milano: Giuffrè.

43 Nel 2014 erano per esempio presenti più di duecento prodotti biotecnologici sul mercato, il 74% dei quali erano commercializzati da ventisette aziende farmaceutiche da sole o in partnership con altre società (cfr., Walsh G. 2010. “Biopharmaceutical benchmarks”. Nature Publishing Company, settembre 28 (9): pp. 917-924).

44 Sulla nascita e l’affermazione delle Giant Corporation, in italiano, con una espressione un po’ impropria, “aziende multinazionali”, nonché sulla loro organizzazione e sui loro meccanismi d’azione, si veda il datato ma sempre valido Chandler A.D. 1992. La mano visibile. La rivoluzione manageriale nell’economia americana, Milano: Franco Angeli.

45 Cfr., Walsh G. 2010. “Biopharmaceutical benchmarks”. Op. cit.; e Ohba M., Figueiredo P. 2007. “Innovative capabilities and strategic alliances: Who is gaining what in the pharmaceutical industry?”. Journal of Commercial Biotechnology, 13: pp. 273-282.

46 Cfr., La Torre M.A. 2009. Questioni di etica d’impresa. Oltre l’Homo Oeconomicus, Milano: Giuffrè, pp. 209-210. L’espressione “Big Pharma” è un termine di derivazione giornalistica con il quale si suole identificare i maggiori agglomerati farmaceutici che, collettivamente, formano un’industria del valore di diversi milioni di dollari.

47 Cfr., Santoro A.M., Gorrie T.M. 2005. Ethics and Pharmaceutical Industry, Cambridge University Press: Cambridge.

48 Cfr., La Torre M.A. Op. cit., pp. 209-210.

49 Cfr., Rossi P. 2018. “Max Weber, le due etiche e il rapporto con la politica”. Rivista di filosofia, aprile CIX (1): pp. 29 -48, e in particolare si veda p. 37.

50 Weber M. 2001, La scienza come professione - La politica come professione, Torino: Edizioni di Comunità, p. 102.

51 Cfr., Rossi P. Op. cit., p. 37.

52 Weber M. Op. cit., p. 111.

53 Il richiamo è al titolo (e naturalmente alla trama) del bellissimo libro di Joseph Heller del 1961 (Heller J. 2019. Comma 22, Milano, Bompiani).

54 Travis P.L. 2019. La sapienza segreta delle api, Macerata: Liberilibri, p. 7.