Innovazione e salute pubblica
Tiziano Carradori
Direttore Generale USL Ravenna

In generale, il concetto di innovazione fa riferimento alla messa a punto o alla commercializzazione di un nuovo prodotto (innovazione di prodotto) che fornisce al consumatore un servizio effettivamente nuovo o migliorato. Oppure, alla messa a punto di un metodo di produzione o di distribuzione (innovazione di processo) nuovo che migliora o risolve un problema sentito come tale a livello delle istituzioni, delle organizzazioni o delle comunità.
In campo sanitario, la cultura prevalente associa il concetto di innovazione a quello di miglioramento dello stato di salute. Questa associazione non è immotivata. Tuttavia, la sua acritica e generale accettazione espone la società, e le persone che la compongono, al rischio contrario. Soprattutto in un contesto in cui il più delle volte l’innovazione viene fatta coincidere esclusivamente con la disponibilità di un nuovo prodotto o di una nuova tecnologia – high tech –, dove domina una prassi che fa della tecnologia più recente quella più desiderabile e dove l’innovazione è più spesso orientata dal mercato che dai bisogni prioritari di salute delle popolazioni.
Vale comunque la pena di ricordare che i progressi realizzati sullo stato di salute della popolazione nel corso del XX secolo sono dovuti ai progressi terapeutici e tecnologici che si sono registrati nella medicina ma anche, e soprattutto, al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Eppure i sistemi sanitari avanzati consacrano dall’80 al 90% delle risorse alle cure.
Sul piano sociale, i progressi congiunti delle conoscenze mediche, della tecnologia e della speranza di vita hanno generato in tutti i Paesi cosiddetti sviluppati l’idea che la medicina abbia illimitate capacità di agire non solo sulla salute ma anche sul benessere. Più si rafforzano i discorsi sulle potenzialità della tecnologia più aumentano le attese nei confronti delle pratiche mediche. Il tutto, in un contesto in cui la domanda di tecnologia si appoggia su fonti di informazione troppo spesso poco critiche e facilmente manipolabili.
Sul versante commerciale, il sistema mondiale spinge le industrie a investire essenzialmente nella messa a punto di prodotti destinati alle popolazioni con potere di acquisto, principalmente nei Paesi sviluppati. Si dispone di mezzi tecnici (farmaci, vaccini, dispositivi e tecnologie) capaci di migliorare la vita della popolazione, ma esistono milioni di persone che soffrono e muoiono perché questi mezzi non sono per loro disponibili o accessibili.
Non stupisce se la maggior parte delle risorse investite nella ricerca biomedicale finisca per avere ricadute che interessano una parte minoritaria della popolazione mondiale o che hanno scarso o nullo valore aggiunto in termini di miglioramento dello suo stato di salute.
Riflettere sulla natura della relazione innovazione/salute appare un’ineludibile necessità anche per ragioni di sostenibilità dei sistemi sanitari. Tutti gli studi, che hanno affrontato l’impatto delle innovazioni tecnologiche sui costi, hanno concluso per un loro sostanziale contributo all’aumento delle spese. Alcuni sostengono che, depurate le spese dagli effetti di fattori non tecnologici (inflazione, invecchiamento, aumento del reddito individuale), la tecnologia è stata il principale fattore di crescita dal dopoguerra a oggi. Secondo altri, dopo gli anni Sessanta, il 70% della crescita delle spese è attribuibile allo sviluppo e alla distribuzione delle tecnologie mediche, largamente indotto dallo sviluppo dell’assicurazione sanitaria. Si stima che alla disponibilità di moderni servizi e tecnologie di diagnosi e cura sia riconducibile non oltre un terzo della riduzione della mortalità registrata dai Paesi a sistema sanitario avanzato.
Le implicazioni etiche, economiche e organizzative correlate all’innovazione richiedono una riflessione più ampia di quella che normalmente la caratterizza. Una riflessione che, coinvolgendo l’insieme degli attori che intervengono a vario titolo e livello, permetta di sviluppare una nuova cultura dell’innovazione. Una cultura che sappia orientare coerentemente tutte le decisioni fondamentali che intervengono nelle diverse fasi del processo (dal momento della ricerca, dello sviluppo, dell’introduzione, della diffusione e dell’uso). Una cultura che sappia contrastare una pratica ancora troppo diffusa che trasforma il presupposto benefico di un’innovazione in un pregiudizio che determina un’accettazione incondizionata di qualsiasi innovazione, indipendentemente dal valore aggiunto che il nuovo prodotto ha o può effettivamente avere per la salute complessiva o per il miglioramento della qualità dei risultati e dei processi diagnostici e terapeutici.
In campo sanitario la discussione deve prioritariamente considerare le caratteristiche dei bisogni di salute prevalenti, delle pratiche professionali e assistenziali. Così facendo, l’innovazione viene valutata prevalentemente in funzione della sua capacità di migliorare lo stato di salute considerando le relazioni e gli effetti sul contesto clinico-assistenziale, organizzativo (facilità d’uso e di controllo) e sociale (valori, disponibilità, accessibilità) nel quale è introdotta.


Alcune considerazioni relativamente all’innovazione

In Sanità, in pratica, il concetto di innovazione viene fatto coincidere con le tecnologie (biotecnologie, immaging ed elettromedicali, dell’informazione e della comunicazione, quello dell’innovazione tecnologica). Dal punto di vista culturale, questa coincidenza, per quanto inevitabile, determina due conseguenze negative.
La prima consiste nel rischio di ridurre il significato dell’innovazione alla disponibilità sul mercato di un nuovo prodotto che semplicemente si aggiunge ai prodotti (pratiche e tecnologie) preesistenti. Inevitabilmente, così facendo, offusca la possibilità di produrre innovazione, e quindi miglioramento, anche attraverso la riconfigurazione delle relazioni tra gli elementi preesistenti.
La seconda fa riferimento all’induzione di una visione nella quale si tende a far coincidere il concetto di innovazione (strumento) con quello di cambiamento (fine migliorativo). Quasi che per produrre il cambiamento prefigurato, nel nostro caso il miglioramento quali-quantitativo dello stato di salute o il miglioramento della qualità dei processi di cura, fosse sufficiente acquisire l’innovazione. In realtà, un nuovo prodotto può essere necessario per raggiungere il miglioramento ricercato ma la sua disponibilità non è da sola sufficiente a far sì che il miglioramento si produca nei modi auspicati.
Tanto più in un contesto come quello sanitario, che da oltre venti anni deve continuamente confrontarsi con l’affacciarsi di innovazioni, vere e presunte, a una velocità sempre crescente. Solo venticinque anni fa il pc era agli inizi e il genoma usciva dal limbo.
In campo sanitario, accanto ai campi più tradizionali della tecnologia sanitaria si sono registrati enormi progressi sul versante della biologia molecolare e della genetica, con un’accelerazione delle acquisizioni che supera le più ottimistiche previsioni. Nell’arco di alcuni mesi siamo passati dall’era genomica a quella post-genomica o proteomica
Le innovazioni continueranno nel prossimo futuro. Le possibilità di terapia genica potrebbero poi trasformare radicalmente lo scenario dei prossimi decenni (come dimostra il recentissimo annuncio del passaggio dalla decodifica alla scrittura del menoma – il cromosoma di sintesi).
Le innovazioni tecnologiche hanno provocato cambiamenti importanti. Hanno consentito di migliorare i risultati delle pratiche mediche e assistenziali (preventive, diagnostiche e terapeutiche) e permesso un miglior controllo dei fattori predisponenti alla malattia, concorrendo al miglioramento dell’aspettativa di vita ma, soprattutto, della sua qualità. Hanno consentito una gestione più efficace ed efficiente dell’episodio di cura e dell’episodio di malattia, le complicazioni si sono ridotte con l’uso di nuovi farmaci e di nuove dispositivi. Sono state possibili modifiche nell’erogazione dell’assistenza che hanno contribuito a migliorare la produttività del sistema e il rendimento delle risorse.
Tutto ciò ha determinato un’estensione delle indicazioni ai trattamenti e l’allargamento della popolazione bersaglio.
Se da un lato si riscontra la relazione positiva tra innovazioni tecnologiche e miglioramento della salute, dall’altro è bene ricordare che accanto agli effetti positivi delle innovazioni tecnologiche ve ne sono alcuni di segno opposto. Che le innovazioni possano produrre anche effetti negativi è inevitabile. Gli interessi che presiedono al loro sviluppo e alla loro diffusione sono molteplici. Se le motivazioni che sottendono la diffusione di un’innovazione non sono solo quelle della protezione o del miglioramento dello stato di salute, non deve stupire se l’introduzione dell’innovazione non sempre porti un miglioramento nello stato di salute. E, infatti, la distanza tra i risultati annunciati e quelli effettivamente riscontrati resta impressionante.
È ormai acquisito, in base alle evidenze disponibili, che la crescente tecnologizzazione della salute può anche avere effetti negativi, sia sulla prosperità della popolazione (per le somme sempre più ingenti che assorbono) sia sulla salute collettiva e individuale (per sottrazione di somme allo sviluppo di altri settori – educazione, ambiente, economia –, per iatrogenicità).
La sofisticazione del sistema tecnico è anche causa di errori assai costosi. Studi nazionali e internazionali indicano una frequenza degli incidenti variabile dal 3 al 13% dei ricoveri ospedalieri. Negli USA si è stimato che, in termini di mortalità, questi errori hanno conseguenze maggiori rispetto agli incidenti da veicoli a motore, il cancro della mammella e l’AIDS. Il loro costo economico è di almeno 17 miliardi di dollari, di cui più della metà in assistenza sanitaria.
Le innovazioni tecnologiche spiegano la maggior parte della crescita dei costi per la Sanità. Lo è stato nella seconda metà del secolo scorso e con ogni probabilità continuerà a esserlo nel prossimo futuro.
Tutto lascia intendere che per il futuro il tema del governo dell’innovazione in Sanità sarà uno dei fattori critici su cui si giocherà sia la capacità di soddisfare gli obiettivi di salute e la loro equità distributiva, sia la sostenibilità dei sistemi solidaristici.
Il governo dell’innovazione è un imperativo etico prima ancora che una necessità economica. È necessario perseguire l’appropriatezza d’uso delle innovazioni tecnologiche, contrastando l’uso dove non c’è evidenza di valore aggiunto (diagnostico o terapeutico) e contenendolo dove producono vantaggi solo marginali. Viceversa, là dove esiste l’evidenza del valore aggiunto occorre aumentarne l’accessibilità e l’osservanza al trattamento.
Questa rilevanza richiede certamente il coinvolgimento di istanze decisionali di livello superiore a quello in cui si esprime la pratica professionale, ma sarebbe sbagliato non riconoscere che un contributo importante, se non fondamentale, al governo complessivo del problema risiede nelle fasi di introduzione e d’uso dell’innovazione.
La complessità delle determinanti dell’innovazione fa sì che le sfide attuali e future che essa pone al sistema dei servizi non si possano risolvere nella scelta semplice tra adozione e non adozione.
Le decisioni sono più complesse e, per un numero crescente di tecnologie, la decisione implica la determinazione del contesto clinico e organizzativo, del tipo di paziente e del tipo di supervisione professionale per cui il loro uso si rileva benefico.
Tanto più l’innovazione è complessa e sofisticata tanto più per la minimizzazione degli effetti indesiderati assume rilevanza il contesto organizzativo e gestionale che ne determina l’impiego pratico.
La complessità di certe tecnologie non solo necessita della presenza di personale specializzato, ma anche di infrastrutture adatte e di programmi di sorveglianza efficaci. Utilizzare tecnologie specialistiche senza queste condizioni organizzative significa accettare tacitamente un rischio maggiore di eventi avversi e un costo significativamente superiore e poco controllabile.
Ne deriva che la capacità di governare efficientemente l’introduzione di un’innovazione e di massimizzarne il suo rendimento in salute è certamente legata al rigore scientifico e alla coerenza delle azioni che ne condizionano l’introduzione e la diffusione, ma sarà sempre più determinata dall’efficienza con cui l’innovazione verrà utilizzata sul campo. La massimizzazione dei benefici ottenibili dall’introduzione dell’innovazione nel sistema di produzione dei servizi si realizza quando a livello della sua applicazione nella pratica operativa si ha la capacità di orientarne l’uso verso target appropriati in condizioni di efficienza strutturale e organizzativa.
Non dimentichiamo che l’uso delle tecnologie disponibili non avviene sempre con adeguata ponderazione. Tecniche diagnostiche (di laboratorio o di immaging) e farmaci sono ancora troppo frequentemente caratterizzati da un impiego con basso o nullo valore aggiunto, tanto sul lato clinico quanto sul lato della salute individuale e collettiva (sottotrattamento nel caso degli ipolipemizzanti). Non è occasionale osservare usi in contrasto con le indicazioni d’uso (metformina nel diabete con insufficienza epatica o con scompenso cardiaco).
L’innovazione riuscita è, quindi, condizionata da fattori organizzativi molto importanti, che vanno dai corretti modi di gestione, all’organizzazione del lavoro, alla formazione e alla valorizzazione delle competenze professionali.
Le aziende sanitarie sono l’ambito organizzativo in cui le innovazioni vengono applicate nella pratica clinico-assistenziale. A tale livello, nell’ambito del governo clinico, occorre creare le condizioni culturali e operative per promuovere e governare i processi di trasformazione delle competenze, dell’organizzazione e delle pratiche necessarie a garantire che l’innovazione massimizzi il suo potenziale di miglioramento, e che a tale possibilità di miglioramento sia dato equo accesso alla popolazione, anche attraverso l’ottimizzazione d’uso delle risorse.