Il paziente diabetico-oncologico.

Martina Cannataro,1 Irene Sottile,2 Carlotta Pucci,3 Livia Ruffolo,4 Ilaria Sconza,4 Debora Severino,4 Elena Loche,4 Antonella Risoli,5 Davide Zenoni,6 Emilia Falcone7

1Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera, Università degli Studi Magna Graecia, Catanzaro
2Farmacia Ospedaliera Azienda USL Toscana Sud Est, sede Grosseto
3Dipartimento del Farmaco Azienda USL Toscana Sud Est, sede Grosseto
4ASC Sifo - Malattie Metaboliche, Malnutrizione e Nutrizione Clinica
5U.O.C. Farmacia Ospedaliera, P.O. “S.S. Annunziata” - Cosenza
6U.O.C. Farmacia, ASST Nord Milano
7Coordinatrice ASC Sifo - Malattie Metaboliche, Malnutrizione e Nutrizione Clinica

Gestione della malattia e approccio nutrizionale

Il diabete mellito e il cancro sono patologie frequentemente diagnosticate nella popolazione adulta e spesso coesistono nello stesso individuo: circa il 10-15% dei pazienti affetti da cancro soffre anche di diabete come condizione di comorbidità associata.1

Si stima che una quota di circa il 60% dei pazienti neo-diagnosticati per cancro abbia più di 65 anni, e dal momento che la prevalenza del diabete raggiunge il 17% in questa fascia di età, la coesistenza di diabete e cancro è destinata ad aumentare progressivamente con l’innalzamento dell’età della popolazione.2

Dunque, porre una co-diagnosi di tumore e diabete nello stesso paziente sembra essere molto più frequente di quanto ci si potrebbe aspettare: alcuni dati osservativi, per esempio, suggeriscono un forte legame tra diabete e tumore del seno, del colon-retto, tumori dell’endometrio, del fegato e del pancreas.2

Il diabete e il cancro presentano numerosi fattori di rischio in comune:

età;

obesità;

dieta;

sedentarietà;

abuso di alcool;

fumo di sigaretta.

Il diabete può influenzare lo sviluppo e la progressione delle neoplasie, attraverso diversi meccanismi che spiegherebbero il legame biologico tra le due patologie: l’iperglicemia, l’iperinsulinemia, gli alti livelli del fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF-1), soprattutto nel diabete di tipo 2, l’infiammazione cronica e lo stress ossidativo con conseguente effetto mitogeno e d’interferenza sulla regolazione della crescita cellulare.3

Alcuni studi suggeriscono un possibile ruolo anche degli stessi farmaci antidiabetici: le insuline esogene a lunga durata, come la glargina, aumenterebbero il rischio di cancro, legandosi ai recettori per IGF-1 con attivazione della via ERK.3
Al contrario la metformina sarebbe associata a una riduzione di tale rischio, in quanto contrasta l’insulino-resistenza e inibisce gli RNA messaggeri di c-myc.
4

Il valore di emoglobina glicata (Hba1c), che viene definita come una forma di emoglobina usata principalmente per identificare la concentrazione plasmatica media del glucosio per un lungo periodo di tempo, rappresenta un fattore predittivo nella patogenesi oncologica: valori di Hba1c compresi tra 6-6.4% (quindi anche nei soggetti non ancora diabetici), sono associati a un maggior rischio di sviluppare un tumore.2

Dati recenti hanno dimostrato come il diabete possa influire direttamente sia sul Disease Free Survival (DFS), che è da intendere come il periodo di tempo dopo la fine di un trattamento curativo durante il quale non si manifestano, recidive o secondo tumore o morte per qualsiasi causa, sia sul Overall Survival (OS) di alcuni tipi di tumore, che invece è il periodo di tempo che intercorre tra la data della diagnosi di una patologia (tipicamente un tumore), o dell’inizio della cura, e il momento del decesso del paziente.

L’influenza diabetica su questi due parametri riduce il vantaggio che si può ottenere con il trattamento chemioterapico adiuvante.5

Altri studi invece hanno dimostrato l’impatto della comorbidità sul tipo di trattamento terapeutico individuato: un trial randomizzato, condotto su pazienti con cancro del colon allo stadio III, ha mostrato che la diminuzione del DFS nei pazienti diabetici, rispetto ai non diabetici, è uguale all’aumento del DFS dovuto alla terapia con fluorouracile e levamisolo nei pazienti non diabetici.

Quindi, un compenso glicemico non ottimale non solo sembra aumentare il rischio cancerogeno, peggiorandone la prognosi, ma sviluppa un sempre maggiore rischio di recidive.

Nonostante l’aumento della prevalenza del diabete e del cancro, ci sono tuttavia limitate informazioni sugli outcomes dei pazienti affetti da entrambe le patologie.1

Oltre al suo ruolo nella carcinogenesi, il diabete influenza anche le strategie di gestione dei pazienti, i quali tendenzialmente presentano diverse condizioni di comorbidità (insufficienza renale, cardiomiopatia e neuropatia) che potrebbero compromettere la dose e lo schema di terapia, riducendo così i tassi di guarigione.3

La prevenzione del rischio oncologico nel paziente diabetico interessa prima di tutto l’aspetto comportamentale, per cui si consiglia un controllo periodico e costante del compenso glicemico e optare per una dieta mediterranea, insieme alla consueta attività fisica.

Gestire un adeguato compenso glicemico significa attenersi alle indicazioni diabetologiche, assumendo e/o somministrando adeguatamente la terapia stabilita, rispettando le indicazioni dietetiche.

Questo consente di evitare gli effetti collaterali delle alterazioni glicemiche, (ipo o iperglicemia), ridurre lo stato infiammatorio correlato ad alti livelli di glucosio circolante e garantire uno stato metabolico ottimale.

La diagnosi di tumore nel soggetto diabetico si basa su effetti metabolici indotti dal tumore stesso:

anomala produzione di citochine infiammatorie, neuropeptidi, ormoni

aumento della spesa energetica a riposo

effetti sul metabolismo glucidico, che portano inevitabilmente ad un peggioramento del compenso glicemico per aumentate concentrazioni del glucosio e aumentata resistenza insulinica

effetti sul metabolismo lipidico, con un’aumentata lipolisi

aumentata ossidazione lipidica e iperlipidemia

effetti sul metabolismo proteico, che porta a una conseguente perdita della massa muscolare

Quando si trattano pazienti con cancro che hanno il diabete, tuttavia, bisogna considerare l’impatto della chemioterapia sulle complicanze cardiache, renali o neurologiche della malattia diabetica stessa.

Inoltre l’armamentario terapeutico antitumorale, ampliato notevolmente negli ultimi anni, propone l’uso di diversi agenti chemioterapici, i quali possono indurre a loro volta iperglicemia, esacerbando così una condizione di diabete pre-esistente oppure inducendo a un’iperglicemia transitoria o permanente: gli inibitori mTOR Everolimus e Temsirolimus, gli inibitori della tirosin chinasi Nilotinib e Pazopanib, il 5-Fluorouracile, i glucocorticoidi (che possono causare anche insulino resistenza) ed il cisplatino.3

Diversi farmaci utilizzati nella terapia antitumorale possono favorire la comparsa oppure un aggravamento delle complicanze del diabete: le antracicline hanno effetto cardiotossico, il cisplatino provoca tossicità renale, la vincristina, il paclitaxel ed il cisplatino sono noti per la neurotossicità.4

L’attento monitoraggio glicemico e il controllo della pressione arteriosa hanno dimostrato un ritardo o un miglioramento delle complicanze renali; così come l’ottimizzazione del controllo glicemico può avere un impatto sulla progressione della neuropatia.

Le principali classi di farmaci utilizzati nel trattamento antineoplastico, che possono influenzare il metabolismo dei carboidrati attraverso vari meccanismi, sono i chemioterapici (capaci di indurre iperglicemia per effetto sulla secrezione o sull’azione dell’insulina), la terapia ormonale e i glucocorticoidi.3

Nella pratica clinica spesso quindi si innesca una condizione di malattia nella malattia, per cui il tumore diagnosticato comporta una terapia antiblastica e cortisonica parallelamente, che il più delle volte richiede un supporto nutrizionale. In un paziente oncologico quindi, già fortemente compromesso, potrebbe comparire anche il diabete, creando così un sistema che si autoalimenta.




Appare fondamentale la valutazione nutrizionale del paziente diabetico-oncologico per capirne la gestione, evitando così di condizionare l’equilibrio precario della malattia, la quale potrebbe, se compromessa, portare a un peggioramento della qualità della vita, dell’aderenza ai trattamenti e della prognosi stessa.

Gli interventi nutrizionali quindi attuabili si dispongono nell’ordine seguente.6

1. counseling nutrizionale, inteso come un modello d’intervento innovativo che applica le competenze, abilità e tecniche del counseling alla dietistica, per educare a una corretta alimentazione. Rappresenta un approccio basato sulle conoscenze scientifiche, ma anche sulla comunicazione e sulla relazione, e punta a superare una delle maggiori difficoltà che le persone riscontrano, quando si trovano di fronte a un cambiamento del proprio stile alimentare, e cioè conservare nel tempo i risultati raggiunti.

2. integrazione nutrizionale orale, attuata mediante integratori alimentari orali (Oral Nutritional Supplements), cioè liquidi sterili, semisolidi o in polvere, che forniscono macro e micronutrienti, ampiamente utilizzati negli ambienti sanitari e di comunità, per i pazienti che non sono in grado di soddisfare le proprie esigenze nutrizionali attraverso la sola dieta orale. In generale, l’apporto calorico giornaliero dovrebbe essere di circa 30-35 kilocalorie per ogni chilogrammo di peso corporeo. Tuttavia, per chi affronta i trattamenti oncologici, può accadere di non riuscire a soddisfare questo bisogno. Le terapie possono causare degli effetti collaterali che riducono l’appetito come la disgeusia. Chemioterapia e radioterapia, infatti, oltre a provocare nausea e vomito, possono modificare il sapore degli alimenti, rendere difficile la deglutizione e alterare la preferenza dei cibi. Di conseguenza si può andare incontro a una carenza dei nutrienti essenziali sino ad arrivare in alcuni casi a provocare uno stato di malnutrizione. La malnutrizione e l’inattività causata dalla stanchezza e dal malessere generale possono provocare perdita di peso e di massa muscolare. Tutto questo influenza in modo negativo anche la risposta alle terapie e più in generale la qualità di vita.

3. nutrizione enterale, che consiste nella somministrazione di nutrienti tramite l’apparato gastroenterico, che può avvenire con un sondino naso-gastrico o una stomia, spesso necessaria nei pazienti sottoposti a terapia antitumorale.7 In questo caso le linee guida della Joint British Diabetes Societies suggeriscono il target di glucosio in un range di 6–12 mmol/l, cercando di evitare così l’avvento di un’ipoglicemia e monitorare attivamente l’inizio dell’iperglicemia, effetto tipico di chi è sottoposto a nutrizione enterale in queste circostanze. Studi indicano la possibilità di somministrare polvere di metformina tramite il sondino naso-gastrico, consentendo così non solo di migliorare significativamente il quadro glicemico ma anche di ridurre il rischio di ipoglicemia2. Il controllo della glicemia nella Nutrizione Artificiale (NA) è possibile sfruttando diverse procedure: protocolli infusionali insulinici da attuare per via endovenosa; la somministrazione di 1-2 dosi/die di un analogo lento per via sottocutanea; la somministrazione di insulina NPH (Neutral protamine Hagedorn) o levemir +/- insulina rapida sottocute; l’inserimento diretto dell’insulina nella sacca nutrizionale. L’ipoglicemia nei pazienti sottoposti a nutrizione enterale può rappresentare un serio problema nei casi di ridotti livelli di coscienza, ecco perché in taluni casi si propone la somministrazione repentina di 15-20g di carboidrati tramite il tubo di alimentazione o, in alternativa, la somministrazione per via intramuscolare di glucagone o glucogel buccale (se il riflesso della deglutizione è intatto).

4. nutrizione parenterale, intesa come una terapia basata sull’infusione di soluzioni nutrizionali direttamente nel sangue, attraverso un vaso venoso periferico o centrale, mediante l’utilizzo di un catetere venoso. Questo approccio, oggettivamente più invasivo delle precedenti tecniche sopra elencate, permette di fornire tutti i macronutrienti già digeriti (aminoacidi, glucosio, lipidi), elettroliti, vitamine e oligoelementi a quei pazienti che non possono nutrirsi per via orale in modo adeguato e non possono essere sottoposti a nutrizione enterale.7

Le valutazioni dello stato nutrizionale per mezzo di screening permettono il riconoscimento precoce della situazione nutrizionale in cui il paziente si trova e quindi una sua corretta gestione.

Gli screening nutrizionali che vengono indicati dalle linee guida sono i seguenti:

Nutritional Risk Screening 2002 (NRS 2002);

Malnutrition Universal Screening Tool (MUST);

Malnutrition Screening Tool (MST);

Mini Nutritional Assessment (MNA).

Questi screening associano indicatori standardizzati di malnutrizione (BMI, calo ponderale, ridotto intake alimentare), e consentono la formulazione di un punteggio valutativo che permette di differenziare i vari livelli d’intervento da attuare.6

Il fine è quello di prevenire il calo ponderale per migliorare la tolleranza alle terapie, ridurre i rischi di complicanze alle stesse, migliorare la qualità di vita, oltre che mantenere un adeguato compenso glicemico, evitando sintomi derivanti da condizioni di iper-ipo ipoglicemia.1

Solitamente nella gestione del paziente diabetico-oncologico conviene individuare aspetti rilevanti, quali la valutazione di un obiettivo glicemico intorno ai 110-200 mg/dl; la verifica della glicemia a digiuno a una quota <250 mg/dl; la valutazione della terapia insulinica più appropriata (dose, schema insulinico, via di somministrazione).5

Si distinguono quindi vari stadi in cui si può trovare il paziente, che portano ad approcci diversi sia nella terapia insulinica che nell’alimentazione:

in un paziente stabilizzato, bisogna considerare la quantità di insulina media somministrata nei due giorni precedenti;

in un paziente compromesso, la quota di glucosio infuso si aggira intorno alle 0,1-0,15 UI /gr ed in entrambi i casi si deve procedere ad un controllo glicemico regolare (ogni 2-3 ore per 3-4 determinazioni/die);

nel paziente acuto, secondo la Rete Oncologica, il target glicemico si aggira intorno alle seguenti quote:

tra 90-130 mg/dl (glicemia pre-prandiale < 130 mg/dl);

– <180 mg/dl post-prandiale, se raggiungibili senza un rischio elevato di ipoglicemia;

– tra 140-180 mg/dl nel paziente critico.

Le linee guida ESPEN indicano per il paziente oncologico, in fase terapeutica/attiva, apporti calorico-proteici minimi, pari a 25-30 kcal/kg/die e 1.2 g di proteine/kg/die; mentre nel paziente oncologico in stadio avanzato è utile il supplemento di acidi grassi Ω3 (1-2 g/die) per ridurre lo stato infiammatorio e la perdita della massa muscolare.8

È chiaro che nella fase palliativa il controllo glicemico passa in secondo piano, in quanto è prioritario evitare l’ipoglicemia ma non sono necessarie eccessive restrizioni dietetiche.

Nello specifico nella prognosi di mesi la quota glucidica può aggirarsi sui 120-270 mg/dl; quando invece la prognosi è di settimane (o pochi mesi), la quota può essere anche di 180-360 mg/dl (riducendo la frequenza dei controlli glicemici al minimo).9

Nel caso di prognosi particolarmente infauste, bisogna valutare l’interruzione dei controlli glicemici e semplificare così la terapia antidiabetica, somministrando insulina se la glicemia > 360 mg/dl, tenendo sempre conto del grado di coscienza del paziente.

È proprio in condizioni morbose instabili e/o difficili da gestire, sia a causa della loro complessità sia a causa di pazienti poco collaborativi, che il clinico, con l’aiuto del farmacista per una valutazione ottimale delle strategie nutrizionali da attuare, potrebbe optare per la NA.

Come sopra descritto, la NA rappresenta un intervento da considerare in quanto procedura terapeutica destinata alle persone nelle quali l’alimentazione orale non è praticabile, non è sufficiente o è controindicata.5

Tra gli obiettivi della NA si individua la volontà di:

prevenire/correggere la malnutrizione;

ottimizzare lo stato metabolico;

ridurre la morbilità/mortalità;

limitare i tempi di degenza/convalescenza;

ridurre la prevalenza delle complicanze infettive e migliorare la qualità di vita.

Tuttavia, è opportuno somministrare una NA nel paziente oncologico nel caso di pazienti:

sottoposti a terapie con alte dosi/trapianto midollo osseo;

in cui la malnutrizione può rendere impossibile la somministrazione della terapia;

in fase avanzata di malattia;

in cui la prognosi sia tale da permettere di definire il rischio di morte per malnutrizione più elevato del rischio per morte di neoplasia.

In questi casi, la scelta ricade su miscele specifiche, che presentano le caratteristiche riportate qui di seguito:5

Ipoglucidiche (31-51%)

Normo/iperproteiche (15-20%)

Normo/iperlipidiche (31-50%) con acidi grassi monoinsaturi (MUFA), che devono essere di circa il 20% in più delle calorie

Apporto calorico variabile (0,75-1,2 kcal/ml)

Presenza di fibre solubili e insolubili

HC a base di amido/fruttosio/isomaltosio

Appare chiaro che la presa in carico del malato è globale, fin dall’inizio del percorso terapeutico, e prevede un approccio multidisciplinare sostenuto da un’organizzazione delle attività ospedaliere, con lo scopo di garantire da un lato il miglior trattamento (in termini di qualità, di tempi e di coordinamento degli interventi), e dall’altro, un precoce riconoscimento di eventuali altri bisogni (nutrizionali, funzionali, psicologici, sociali e riabilitativi) del malato: tutto ciò si può realizzare solo in un sistema configurato e organizzato.

BIBLIOGRAFIA

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2. Jacob P, Chowdhury TA. Management of diabetes in patients with cancer. QJM 2015 Jun;108(6):443-8. doi: 10.1093/qjmed/hcu218. Epub 2014 Oct 31. PMID: 25362096.

3. Srivastava SP, Goodwin JE. Cancer Biology and Prevention in Diabetes. Cells 2020 Jun 2;9(6):1380. doi: 10.3390/cells9061380. PMID: 32498358; PMCID: PMC7349292.

4. Schettino M, Nuzzo MG, Gestione del paziente diabetico in oncologia. Il Giornale di AMD 2014;17:69-77.

5. Haskins CP, Champ CE, Miller R, Vyfhuis MAL. Nutrition in Cancer: Evidence and Equality. Adv Radiat Oncol 2020 May 24;5(5):817-23. doi: 10.1016/j.adro.2020.05.008. PMID: 33083643; PMCID: PMC7557144.

6. GDS Dietisti Rete Oncologica Piemonte e Valle D’Aosta, La Gestione Nutrizionale del paziente oncologico diabetico.

7. Pellegrino A, Diabete e tumori nella pratica clinica: rilevanza, criticità, soluzioni - La nutrizione artificiale nel paziente oncologico con diabete. Roma: Ospedale San Pietro FBF.

8. Muscaritoli M, Arends J, Bachmann P, et al. ESPEN practical guideline: Clinical Nutrition in Cancer. Clinical Nutrition 2021;40:2898-913.

9. Chowdhury TA, Jacob P. Challenges in the management of people with diabetes and cancer. Diabet Med 2019 Jul;36(7):795-802. doi: 10.1111/dme.13919. Epub 2019 Feb 16. PMID: 30706527.